Arrigo Sacchi colpisce ancora. Questa volta non ha litigato in diretta televisiva con Max Allegri, che aspetta la finale di Berlino per togliersi qualche "sassolino dalla scarpa", bensì ha rivisto il successo dell'Inter della stagione 2009/10. I successi. Una "tripletta" composta da campionato, coppa Italia e Champions League, andrebbe soltanto applaudita e celebrata. Ormai è storia. E invece no. Un'altra sterile polemica sulla mancanza di italiani in quella squadra, un passo deciso verso un patriottismo ipocrita e imbarazzante. L'Italia del calcio, se ha talento, lo vende. Il Milan ha venduto un classe 95 come Cristante al Benfica, la stessa Juve ha spedito in Germania Immobile per prendere Morata, il nostro ct Conte, se potesse, sparirebbe subito dalla circolazione. Altro che Italia.
Le parole di Sacchi vanno a scavare tra il rancore e la nostalgia, cercando di rievocare un calcio che non c'è più. In molti hanno criticato questa globalizzazione, che ha colpito anche il calcio. Un uomo che ha vinto e ha lavorato per i colori italiani, dovrebbe aiutare il sistema, rimboccarsi le maniche e guardare in faccia la realtà. La Juventus di Allegri ha nei giocatori stranieri il suo patrimonio tecnico ed economico (Pogba su tutti), gioca con praticità e vince. Punto.
Fa bene l'Inter a rispondere etichettando lo sfogo di Sacchi come "stupidaggine". Il presidente Moratti sa bene quanto ha speso in termini di salute e portafoglio per riportare in alto la sua squadra del cuore. Il made in Italy andrebbe sicuramente preservato ed esportato con intelligenza, ma partiamo dal basso, dalle regole. L'apertura agli extracomunitari, i passaporti, le agevolazioni, gli accordi segreti sono solo alcuni dei tasti dolenti per il nostro sistema.
Se la "luce" andrà piano piano affievolendosi o meno, il merito sarà di addetti ai lavori e istituzioni. Il calcio ha bisogno di idee, praticità e realtà, non di utopia e illusioni.