Adesso che il 3-0 al Cagliari ha sancito un record che potrà essere soltanto eguagliato (19 vittorie in casa su 19) e un altro che potrà essere superato sì, ma non so quando e non so come (102 punti, cinque in più dell’Inter di Roberto Mancini).
Adesso che tutti gli aggettivi sono stati saccheggiati: straordinario, fantastico, meraviglioso.
Adesso che è terminata la terza stagione dell’era Conte con il terzo scudetto consecutivo.
Adesso che va in vacanza il «dibattitone» su quanta Europa sia costata la rincorsa forsennata al titolo, sforzo al quale ha contribuito la fiammeggiante resistenza della Roma. Se sia stata una scelta pigra o lungimirante.
Adesso che scendono dal carro, per un giorno?, le discussioni sul modulo e sul campionato «poco allenante».
Adesso che Conte ha scelto di restare per eccesso di domande (del popolo) e difetto di offerte.
Adesso che dal Camp Nou, come segnalavano i lettori più pacati, ci è arrivata l’ennesima lezione di sportività: i tifosi culè, tutti ad applaudire l’Atletico campione di Spagna sulle ceneri, caldissime, del Barcellona.
Adesso che Diego Simeone, sulla scia di Jurgen Klopp e il suo Borussia Dortmund, ha ribadito quanto il fatturato sia cruciale ma non così tirannico come si ostinano a scrivere i cultori de «il calcio è dei ricchi» (chiedo scusa, ma quando mai è stato dei poveri?).
Adesso che i giochi (e i record sono) fatti, vi ricordo cosa scrissi il 20 ottobre 2013, in coda a Fiorentina-Juventus 4-2: «Non è più lei (riferita alla Juventus), non è più lui (riferito a Buffon)».
Era il minimo.