Difficilmente dimenticherà quel 5 gennaio Giuseppe Rossi. Le lacrime di dolore, ancor più di paura. Un movimento innaturale e il ginocchio che abbandona ancora una volta il campione. Nell'anno della rinascita, della scommessa viola, vinta. Con alle porte il Mondiale verdeoro, il sogno di Pepito e dell'Italia. Presentarsi al sole del Brasile con Rossi, cognome che evoca magia e dolci ricordi, e Balotelli, l'uomo dei muscoli e della maglietta strappata, l'incubo della Germania. La sorte pareva aver messo sulla strada dell'appuntamento iridato un paletto insormontabile. Un pomeriggio americano, nella clinica di Vail, ha riaperto la porta della speranza. Nessuna operazione in vista. Il cammino è tortuoso, lungo due mesi. La prova della riabilitazione, la difficile terapia conservativa.
"Sono moralmente sollevato dopo l'incontro con il professor Staedman". Poche parole, lasciate ai tifosi della Fiorentina, ma in generale del calcio, perché Rossi è patrimonio dell'Italia. Dal procuratore alla sorella un inno alla gioia. La felicità di vedere un percorso rallentato, ma non arrestato. Giuseppe Rossi, giramondo baciato dal talento, riparte, con un obiettivo. Tornare presto, più forte, perché le grandi imprese si costruiscono attraverso i peggiori tormenti.
La Fiorentina si affida a Matri e coccola Rossi. Montella, come Prandelli, aspetta Pepito, per il rush finale nella corsa alla Champions dei miracoli. Un viatico verso l'aereo che solcherà alla volta del Sud America. Su quello aereo vuol esserci Rossi, a dispetto della sorte.