Sembrano lontane anni luce quelle stagioni quando gli stadi italiani erano gremiti fino all’ultimo seggiolino, e gli spalti erano un spettacolo per gli occhi, coreografie straordinarie, tamburi assordanti, una giostra di colori che difficilmente scorderemo. Secondo molti la causa dell’abbandono degli stadi sono le televisioni, i diritti tv, ormai è tutto digitale, virtuale. Secondo altri fu il Mondiale di Italia 90, quando furono costruiti stadi con capienze enormi, per squadre che raccoglievano un modesto numero di spettatori. Evviva gli sprechi, tipici di noi italiani. Ma forse è più sensato partire da un altro aspetto, trent’anni fa, per entrare negli stadi bastava un semplice biglietto, nei casi più estremi un documento di identificazione. Certo, aumentavano i rischi, ma in compenso gli impianti erano gremiti di tifosi e famiglie, che hanno abbandonato l’opportunità di recarsi a vedere una partita, troppi rischi. Un esempio? Il tifo violento. Persone chiamate “ultras” (solo perché si mischiano con la brava gente che va allo stadio per assaporare il profumo dello sport più bello al mondo), ma che in realtà colgono l’occasione di match di cartello per mettersi in mostra, con incidenti al di fuori degli impianti e cori razzisti. Al giorno d’oggi, per entrare negli stadi, è come superare un labirinto, file infinite, come successe per Inter-Cittadella, partita di Coppa Italia di fine agosto, con le persone che stufate abbandonarono lo stadio, dopo ore di attesa davanti ai tornelli, o la tessera del tifoso, una delle trovate più scellerate dell’allora ministro Maroni. Bisognava prendere esempio da come fecero in Inghilterra, con l’espulsione dagli stadi dei tifosi più violenti, con pene severissime per coloro che si mettevano negativamente in mostra. Qui da noi si puniscono intere curve, oppure nella peggiore delle ipotesi interi stadia causa degli sciocchi di turno, che intonano curi razzisti o quant’altro.
Mettiamo da parte ora le vicende legate al tifo, e concentriamoci sulla questione stadi. Gli impianti che ospitano le squadre di Serie A e B, salvo le grandi squadre e rarissime eccezioni, sono sempre semi vuoti. La problematica più grande è quella dei biglietti troppo cari. In Germania vengono stabiliti i prezzi già da agosto, facendoli restare tali fino alla fine del Campionato, non come qui da noi che col passare del tempo aumentano sempre più vertiginosamente. Altrettanto importanti sono le visuali scomode, dove i tifosi delle squadre pagano fior di quattrini per vedere la propria squadra giocare, ma a distanze siderali dal terreno di gioco. Non un bel trattamento per i tifosi, specialmente per chi, quasi tutte le domeniche percorre chilometri per sostenere la sua squadra, le società dovrebbero riflettere su questo aspetto.
Tra i vari stadi che presentano le maggiori carenze troviamo il San Paolo di Napoli, il San Nicola di Bari, il Renato Dall’Ara di Bologna e l’Armando Picchi di Livorno. Andiamo ad analizzare l’impianto partenopeo. Fu inaugurato nel 1959, un grande impianto, che già del primo progetto poté ospitare 76.000 spettatori. Contiene una pista d’atletica ad 8 corsie, raggiunse l’apice degli spettatori durante gli anni ottanta, gli anni del “Pibe de Oro”, Diego Armando Maradona. Prima della ristrutturazione in vista dei Mondiali di Italia 90 era completamente scoperto. Furono aspramente criticati i lavori, visto che non esisteva nessuna norma della FIFA per l’obbligatoria copertura degli stadi che avrebbero ospitato un Mondiale e, aspetto ancor più messo al bando fu il fatto che il display del punteggio già presente, fu sostituito da due insignificanti display monoriga, soldi sprecati, visto che quest’ultimi furono utilizzati solo per la rassegna iridata. Oggi lo stadio versa in condizioni tutt’altro che tranquillizzanti, la UEFA, ha fatto sapere alla società che l’impianto non è in regola a tutte le norme e, ogni volta che sulla città imperversano temporali, cominciano a cadere cornicioni dalla stadio. Si era parlato anche, se l’Italia avesse ottenuto l’organizzazione di Euro 2012, di edificare lo stadio nella zona di Scampia, sul modello dell’Allianz Arena di Monaco. L’Italia non ottenne i voti per l’assegnazione ed il progetto andò in fumo. Nonostante il restyling del 2010, i problemi allo stadio restano.
Restiamo sempre al sud, ma spostiamoci in Puglia e più precisamente a Bari, verso lo stadio del capoluogo pugliese, il San Nicola, anch’esso costruito per l’assegnazione dei Mondiali, per sostituire il vecchio impianto presente a Bari. Progettato da Renzo Piano, dall’esterno appare come un’”astronave”. C’è anche il lato positivo però, il San Nicola fu il primo stadio (a livello mondiale) ad essere illuminato per tutto il perimetro di gioco, evitando così le ombre in campo. Nel progetto originario non era compresa la pista d’atletica, fortemente voluta dal CONI, che distanziò inevitabilmente le tribune dal terreno di gioco. L’UEFA ha classificato l’impianto nella categoria “Elite”, la più prestigiosa, ospitando anche la finale dell’allora Coppa dei campioni 1991. L’unico beneficiario di questo stadio è appunto il Bari, che non sta navigando in buone acque in Serie B, e quasi tutte le volte che gioca in casa sono desolanti interi settori completamente vuoti, un progetto troppo grandioso per una squadra che, non avrebbe raccolto un pubblico di quasi 60.000 spettatori. Qui, come nel San Paolo, cadono calcinacci, ed un “petalo” (così chiamato perché le coperture sono staccate fra di loro) è rimasto completamente senza copertura, distrutti dal vento, viene da chiedersi ora con che qualità di materiale siano stati costruiti. Le incurie, come se non bastasse si trovano anche al di fuori dello stadio, documentate grazie ad un video amatoriale, con le zone abbandonate al loro destino con vere e proprie accozzaglie di rifiuti. Nel febbraio del 2012 un tifoso del Bari, con un video pubblicato su You Tube, denunciava il fatto che dietro le tribune, non vi erano dei recinti di sicurezza, e si cadeva nel vuoto di 50 metri. Di quella che fu l’astronave delle Notti Magiche di Italia ’90 resta poco o nulla.
Il nostro viaggio prosegue, ma a nord della penisola, allo Stadio Renato dall’Ara di Bologna. Visse il suo periodo d’oro dalla fine degli anni venti fino alla fine dei trenta, con il Bologna che conquistò quattro scudetti e stazionava nelle zone alte della classifica. Si può dire che il Dall’Ara ha una storia “reale”, poiché fu posata la prima pietra nel 1925 davanti al re Vittorio Emanuele III. Terminati i lavori, lo stadio fu denominato “Littoriale”, visto che in quegli anni stava emergendo il movimento Fascista. L’ultima modifica al nome avvenne del 1983, con l’omaggio a Renato dall’Ara, presidente durante gli anno d’oro dei felsinei. Come lo stadio di Bari, anche quello di Bologna ha una capienza non consona alle vere esigenze del club, 40.000 posti, con zone semi vuote e con una pista d’atletica che, ai malcapitati che si insediano nelle curve, tocca vedere la partita con il cannocchiale. Molte volte è stato denunciato il degrado che sta assalendo lo stadio, ma senza le dovute risposte dal comune di Bologna, con pezzi di intonaco che cadono a terra come se fosse pioggia del cielo e gradini che si sgretolano a causa dell’infiltrazione dell’acqua piovana. Ma non è finita qui, perché nell’ingresso della sala stampa, si trova il pavimento ricoperto di acqua e fanghiglia che gocciola dal soffitto.
Spostiamoci a sud di Bologna, in Toscana, direzione stadio Armando Picchi di Livorno, con gli amaranto neo promossi in A dopo tre anni di attesa nella serie cadetta. L’impianto, situato nel quartiere “Ardenza”, fu inaugurato nel 1935, dopo due anni di lavori, stop ai cantieri e tanta, troppa burocrazia. La capienza è di 19 mila posti, scenderebbero a 14 mila se vi si dovessero giocare competizioni UEFA. Questo stadio porta con sé i segni del degrado e dell’incuria, si era parlato di un restyling per celebrare il ritorno in A della squadra, ma tale proposito non si è concretizzato. Alcune parti sono pericolanti, con l’intonaco andato via e i mattoni in bella vista. Travi consumate dal corso degli anni, mettendo a rischio l’incolumità degli spettatori, immondizia all’interno e all’esterno delle curve, bagni abbandonati al loro destino. Stesso discorso anche per lo Stadio di Livorno, la pista d’atletica che distanzia notevolmente il campo dalle tribune.
Finisce qui il nostro viaggio in questi quattro impianti della penisola, l’auspicio più grande è che si possa intervenire presto con le contromisure adatte, per evitare tragedie già largamente annunciate.