La guida del Barcellona e dell'Argentina in una montagna, un iceberg di centosettanta centimetri. La maglia numero 10 e quelle otto lettere a rimarcare qualcosa di incredibile: Leo Messi. Il fuoriclasse sudamericano, a pochi mesi dall'inizio del Mondiale Russo, ha parlato in un'intervista esclusiva concessa a "La Cornisa", su America TV, soffermandosi su passato, presente ed immediato futuro: "Oggi come oggi cerco di lasciare lontano questo pensiero, perché è un Mondiale e sai che la testa già sarebbe lì, che passa molto rapidamente, ma ho anche la fortuna di giocarmi trofei molto importanti qui al Barcellona che mi consentono di non guardare troppo in là: ho visto da ogni parte del mondo la voglia della gente che spera sia un buon Mondiale per me, che lo vinca, che l'Argentina sia Campione del Mondo, è impressionante". 

Messi, poi, prosegue sulla stessa linea: "Cercherò di viverlo giorno dopo giorno senza bruciare le tappe: la famiglia, il Barcellona ti lasciano al momento lontano da questo pensiero. Stare con i miei figli me lo permette, fa passare tutto in secondo piano: l'arrivo del mio primo bambino mi ha portato a non pensare troppo solo al calcio. Ovviamente non mi piace perdere, ma la vedo in un'altra maniera ora: c'è qualcosa di più importante del risultato. Alla fine è un gioco, tutti vogliamo vincere ed essere campioni: ma il calcio è pieno di sorprese, è uno sport dove succedono tante cose e dove non sempre vince il migliore. Devi pensare che possa succedere questo e che ci sia altro oltre questo".

Fonte foto: Twitter Argentina

Il rapporto tra l'argentino e la Nazionale, però, non è stato sempre idilliaco: "Le critiche? Cerco di ignorarle, ma in certi momenti mi hanno fatto anche male, dice Messi: si dicevano cose fuori luogo, soprattutto dal punto di vista della vita privata ed extrasportiva, anche con Lavezzi: sono il primo che so quando gioco bene e quando gioco male. Non c'è solo il gol: c'è lo stare bene in campo, partecipare alle azioni, giocare bene il pallone. Ovviamente uno cresce e impara cose in campo: prima tentavo più spesso di fare le mie giocate, ora cerco invece di far giocare di più la squadra, di non essere solo un realizzatore ed "egoista", cercare la miglior soluzione vicino all'area. Continuo a correre e a muovermi come prima, ma in maniera diversa. Sembra che essere arrivati a tre finali negli ultimi anni non sia servito a nulla: tutto dipende sfortunatamente dai risultati, e questo magari ci porta a pensare che se non saremo campioni non avremo più un'altra occasione. Realmente sono pochi quelli che parlano male della Seleccion, magari potessimo continuare a viverla in altre competizioni".

Il sogno non può che essere uno per questa estate: "Se chiudo gli occhi vorrei immaginarmi al centro del campo, nella finale del Mondiale di Russia, al centro del campo, alzando la coppa, il sogno di sempre: ogni volta che arriva un Mondiale è sempre più forte, vorremmo piangere di gioia, come tutto il paese. Sappiamo quanto sia difficile vincere un Mondiale, lo abbiamo notato nel 2014: vogliamo realizzare un sogno difficile, che abbiamo solo sfiorato, ed è stata durissima. Spero sia un gran Mondiale per tutti noi, spero di vivere qualcosa di simile al 2014, un'esperienza indimenticabile con un pubblico così vicino: facemmo tutto bene e per un dettaglio non riuscimmo a vincere".

Dal futuro al passato con qualche dettaglio sulla crescita fisica e le cattive abitudini alimentari: "Ho mangiato male per molti anni, quando ne avevo 22, 23 o 24: ora mangio bene, insalata, pesce, carne, verdura, senza rinunciare a un bicchiere di vino quando si può. Ma il mio modo di alimentarmi è cambiato, anche legato al fatto che vomitassi in campo: si sono dette tantissime cose e si poteva pensare ci fosse qualche ragione particolare, ma alla fine si è sistemato tutto. Quando avevo 12 anni, poi, facevo una puntura di ormoni, ogni notte. Prima in una gamba, poi nell'altra, ma non mi impressionava. All'inizio mi facevano iniezioni mio papà e mia mamma, poi ho imparato e ci son riuscito da solo. Era un ago molto piccolo e non faceva male, era qualcosa di abitudinario che dovevo fare e lo facevo normalmente".

Poi spazio nuovamente all'Argentina, vista però con un altro occhio: "Soffro per il momento che sta vivendo l'Argentina come paese, è un peccato: è una realtà che vede tanta insicurezza nel paese. Penso di poter tornare a Rosario in futuro e cercare di vivere la mia città come non sono riuscito magari a fare da piccolo, visto che sono arrivato piccolo a Barcellona, cosa di cui non mi pento assolutamente. Mi preoccupa questa insicurezza, il fatto che ti possano rubare un orologio, una bici, una moto: già non poter uscire di casa a fare una passeggiata perché hai paura di essere derubato, nonostante succeda in tante altre parti nel mondo, è brutto, al contrario di ciò che succedeva prima quando ero piccolo, quando stavi fuori fino sera senza problemi. Ma quando noi argentini ci uniamo riusciamo ad ottenere grandi cose, e spero questa situazione possa risolversi. Il fatto di venire qui a Barcellona a 13 anni non mi è costato tanto, al contrario dei miei fratelli: rimanemmo soli qui a Barcellona io e mio padre, ma vedendo quanto la possibilità Barça fosse importante abbiamo scelto di restare e mi sono adattato rapidamente". 

A chiudere qualche battuta sulla vita "normale" all'interno della famiglia, con la nascita del terzogenito Ciro: "Mi sono abituato a tutto e credo che la miglior maniera di vivere sia mostrarti per come sei: pensi e sai che chiunque ti sta osservando sempre e continuamente. Non ho nessun analista, parlo con la mia famiglia, con i miei genitori, che ci sono sempre. E tutto ciò che devono sapere sanno. Sono cosciente del fatto che ciò che dico possa essere interpretato in più maniere, ma cerco di stare attento sempre a ciò che dico e di non creare alcun tipo di confusione. Quando lascerò il calcio non so come mi vedrò, è molto difficile pensarci ora quando sei impegnato in altro. Non so cosa farò e dove vivrò, ma mi piacerebbe fare ciò che ora non sono riuscito a fare vista la mia routine quotidiana: non so se sarò a Barcellona o a Rosario".

"Le lacrime? Ho pianto tante volte dopo alcune partite o finali perse per quello che significavano, perché magari meritavamo di vincere, non siamo riusciti a raggiungere qualcosa di importante e ho passato momenti duri. L'ultima volta che ho pianto è stata per felicità, dopo la nascita di Mateo, il mio secondo figlio: ho assistito al parto. Quello di Thiago non fu così tranquillo come ci aspettavamo, mentre con Mateo tutto andò nel migliore dei modi: a Thiago piace molto il calcio e va già ad allenarsi in una piccola scuola calcio, istituita dal Barça, per i figli di chi lavora nel club e dei giocatori. Già imitavano la mia esultanza con gli indici rivolti al cielo, ma non mi hanno mai chiesto il perché: lo faccio per ricordare mia nonna, sempre presente nei miei pensieri, soprattutto in questo momento, ma anche per ringraziare Dio, per tutto quello che mi ha dato".