Roberto Mancini e la Nazionale, un rapporto turbolento da calciatore, un binomio che potrebbe tornare di stretta attualità nei prossimi mesi. La Federazione non ha ancora scelto il nome del successore di Ventura sulla panchina dell’Italia, ma il nome di Mancini rientra nella stretta cerchia dei big che si vuole provare a convincere dopo il flop contro la Svezia.
Dalle colonne della Gazzetta dello Sport, l’ex allenatore dell’Inter non chiude le porte, anzi svela un suo sogno: “Ho un sogno: vincere da Ct ciò che non ho vinto da calciatore. Un Mondiale. La mancanza del lavoro quotidiano? È da 40 anni che lavoro in campo tutti i giorni, da calciatore e da allenatore, non mi peserebbe questo aspetto. E poi sono giovane, posso ritornare in un club dopo la Nazionale… In grandi club ho lavorato e vinto. Allenare la Nazionale è bello. Sarebbe un onore, un orgoglio. E vincere un Europeo o un Mondiale ancora di più. I giovani bravi ci sono. Mi piacciono Belotti, Pellegrini, Romagnoli che può crescere ancora tanto. E ogni stagione ne vengono fuori altri. Gli italiani hanno qualcosa in più. Balotelli non l’ho seguito molto, ma ho visto che ha segnato tanto. Per il bene che gli voglio, spero che possa ancora togliersi tante soddisfazioni. Ha solo 27 anni. Deve tornare in Nazionale. Uno come lui, certe partite può vincerle anche da solo”.
Mancini torna poi sulla sua seconda esperienza all’Inter, finita in maniera turbolenta: “In estate arrivarono Gabigol e Joao Mario. Il primo era giovane, sarebbe stato meglio darlo subito in prestito. Il portoghese era identico a Brozovic. A me serviva altro. Una punta rapida, capace di attaccare le difese chiuse. Ma a quel punto erano già stati spesi i soldi e non si capiva chi decideva. C’era confusione. Adesso cosa serve? Forse una punta rapida alla Mertens, Salah. Gente che segna, vicina a Icardi. Rafinha? Esperienza e qualità. Per me arriverà terza. La mia Inter e quella di Spalletti? È diverso. Noi avevamo rifondato la squadra, ora la squadra ha due anni di esperienza in più e tanti milioni investiti. Chiudemmo l’andata in testa pur avendo lacune evidenti. A quel punto servivano acquisti a gennaio per reggere il passo, invece si parlava solo di vendere. Un club come l’Inter non può ragionare solo per arrivare in Champions, deve progettare per vincere”.