Era il 1958. L'anno in cui nacque la Comunità Economica Europea. L'anno in cui Fidel Castro rovesciò il regime di Batista a Cuba. L'anno in cui fu eletto Papa Giovanni XXIII. L'anno in cui, per la prima volta, l'Italia non si presentò ad un mondiale di calcio. Erano passati solo quindici giorni dalla notte di San Silvestro e la fatale sconfitta contro l'Irlanda del Nord distrusse le speranze di andare a correre per il terzo titolo che sarebbe arrivato comunque ventiquattro anni dopo, nella notte di Madrid. Da quella fatidica sconfitta di misura, l'Italia ha sempre partecipato ai mondiali, guadagnando la qualificazione sul campo, ora sudata, ora in scioltezza. Da quella maledetta partita, ne sono arrivati due di mondiali: Spagna 82, Germania 06. Due coppe che hanno portato gli azzurri ad essere la seconda nazionale più titolata nelle competizioni mondiali, a parimerito con la Germania.
Impensabile dover rivivere quei momenti che forse i genitori di qualcuno di noi possono ricordare. Impensabile, già. Ma la realtà dei fatti ci porta al confronto con gli stessi accadimenti di sessant'anni fa. Un'Italia fuori dalla competizione calcistica di maggior prestigio ed importanza. E per giunta, a causa della Svezia, quel freddo paese scandinavo che non ci vide calcare i campi nel 1958. I famosi corsi e ricorsi storici di Vico con una variazione sul tema. Senza contare il famigerato "biscotto" di Euro 2004. Ma come è stato possibile arrivare ad un punto così basso nel calcio di oggi? La domanda è più che lecita ed attanaglia la totalità dei tifosi italiani e probabilmente anche di quelli fuori dai confini. Come è possibile che la nazione che ha visto una sua squadra arrivare a sfiorare il tetto d'Europa per ben due volte negli ultimi tre anni non riesca ad accedere ai mondiali? Soprattutto dopo un Europeo in cui non avevamo affatto sfigurato e con una rosa nettamente inferiore a quella di oggi. Una situazione paradossale che vede una moltitudine di colpevoli. Dall'amichevole persa contro il Portogallo che ci relegò nella seconda fascia del raking fino alla scelta poco oculata di un commissario tecnico che non è mai apparso all'altezza della situazione.
Una promozione ed una qualificazione in Europa League. Questo il palmares che ha portato il presidente Tavecchio a scegliere Gian Piero Ventura come commissario tecnico della nazionale italiana di calcio. Nulla di eccelso ma tanto è bastato a Ventura per essere insignito di tale fregio. Un tecnico che probabilmente avrà solo qualche reminescenza dei fatti del 1958 giacché la sua età era di circa dieci anni. Le perplessità furono veloci a balenare nella mente degli italiani, popolo di allenatori. E dopo la prima sonora sconfitta contro la Francia, già inziarono i processi. Da lì in poi, sette vittorie e due pareggi. Numeri che davano ragione a Ventura ma che non furono sufficienti a placare le perplessità. Anzi, le aumentarono se possibile. L'Italia non ha mai dato esempi di solidità e di costruzione. Quella vista pochi mesi prima, allenata da Antonio Conte, sembrava essere un miraggio. L'integralismo venturiano ha portato gli azzurri a svestire il 3-5-2 in favore di un 4-2-4 che non dava comunque spettacolo ma funzionava, in ottica di risultati. Qualcosa scricchiolava ed il 2 settembre ci fu la rottura definitiva. La Spagna distrusse senza troppi complimenti il giocattolo di Ventura. Da lì poi un declino completo che ha dato ragione a chi aveva perplessità ma senza mai dare risposte alle domande "Perchè Insigne non gioca?" e "Perchè Jorginho non è mai convocato?". Dubbi mai sciolti.
Vittorie di misura contro nazionali più che modeste, caratterizzate da tantissima sofferenza e difficoltà di manovra offensiva. Giocatori talentuosi che apparivano improvvisamente novellini del calcio. Ed altri relegati inspiegabilmente in panchina. Verratti, giocatore di punta del PSG, mai in partita. Insigne idem anche se in un altro senso. Due giocatori giovani e dai quali ripartire che non venivano considerati nel loro ruolo naturale o lasciati tra le riserve. Sembrerebbe follia, eppure. Eppure è realtà. Ed il dover incontrare la Svezia ha portato Ventura a modificare parzialmente le sue scelte. Niente 4-2-4. Si torna indietro, al 3-5-2. Modulo che ha fatto la fortuna di Conte (ed anche di Allegri, due anni or sono). Ricostruire la famigerata corazzata della BBC. Poco importa se con un Barzagli trentasettenne, richiamato pietosamente in Nazionale dopo il suo addio, e con un Bonucci che ha deciso di salutare i suoi compagni. Il 4-3-3 non è mai stato contemplato. E ci si chiede perchè nessuno dello staff abbia pensato al modulo che esalta le caratteristiche di quei due talenti cristallini che l'Italia si trova e che rispondono ai nomi di Insigne e Verratti. Che permette anche alle due giovani punte (Immobile o Belotti) di fare reparto da soli, laddove necessario. Che avrebbe potuto scardinare il difensivismo fisico e provocatorio svedese. Invece no, si è preferito usare un altro modulo ed un'altra tattica. I cross dalle fasce. Più di trenta nella disfatta milanese. Nessuno mai pericoloso ed il risultato è stato quello che è stato, una mancata rimonta. Ed un'eliminazione per mano di una squadra tutto sommato modesta ed ormai priva dell'Ibrahimovic di turno. Giocatori statici, lenti e fisici. Affrontarli con la scelta di voler scardinare le fasce e piazzare cross alti a profusione, si è rivelato un vero e proprio suicidio tattico. Il secondo consecutivo, ad esser precisi. E probabilmente quello che fa più rabbia perchè se errare è umano, perseverare è diabolico.