L’estate ci avvinghia nelle sue cocenti spire, centrifuga situazioni, sensazioni, ed appaga il nostro animo. Sotto il battente sole di Agosto, la Premier League scatta ai blocchi di partenza e – come da tradizione – schiaccia play prima di tutti. Tante novità nel calderone inglese, ancor di più nella Londra calcistica, pullulante di squadre, tradizioni, storia, emozioni. Dai Gunners dell’inossidabile Arsene Wenger, al regno Blues di Antonio Conte, senza scordare il sobborgo di Tottenham con l’imperatore Mauricio Pochettino. Da un sobborgo ad un altro, quello di West Ham, chiamato al riscatto dopo una stagione puntellata più dalle lacrime che dai sorrisi, terminata con l’11° posto finale, e con l’obiettivo Europa svanito nel cielo terso, come le bolle di Upton Park prima, e dell’Olympic Stadium poi. Il navigato e fidato condottiero Slaven Bilic mischia le carte come un esperto dealer, e va all in sul poker d’assi: Hart, Zabalata, Arnautovic, Hernandez. Già, quel Javier Hernandez che ha circumnavigato l’Europa prima di tornare dove la sua fetta di prestigiosa carriera era partita: l’Inghilterra, la Premier, ma stavolta niente Manchester. Con le idee di Ferdinando Magellano cucite in petto, più o meno.
Chicharito è un libro da scoprire, dove ogni capitolo racconta una sfumatura diversa, una piega sempre più profonda della sua personalità, riversata a pieno titolo sopra al rettangolo verde. Sin dal saluto iniziale al match, quel piccolo squarcio di tranquillità prima di mettersi l’elmetto e dichiarare guerra aperta alla squadra avversaria. Si chiude in sé stesso e trova ristoro nella sua fede, come Silvio Pellico dietro le sbarre in quel di Venezia e Brno. Poi, spazio alla contesa, al vorticoso incalzare di situazioni, alla potente turbina che ti sbalza da un metà campo all’altra. Si specchia e vede riflesse mille personalità, differenti e contrastanti; a volte appare inadatto, impacciato nella realtà che questo sport disegna - come Andrea Camilleri ed i suoi romanzi, tradizionalisti in un mondo che vede globalizzata anche la scrittura – a volte è testardo, cocciuto e scalmanato come Herman Hesse ed i suoi 55 anni da cane sciolto. Delle volte diligente e perfetto come la dialettica di Italo Calvino, altre volte pragmatico come i romanzi ed il carattere stesso di Edgar Allan Poe. E l’insieme è qualcosa di surreale.
Chiudendo la parentesi dei mirabolanti parallelismi, passiamo al campo. Il messicano è il classico giocatore dotato di uno spessore troppe volte sottovalutato; lavora in modo certosino spalle alle porta facendo salire centrocampisti ed arcieri esterni, prendendosi anche falli importanti. Lavoratore da utilizzare in tutti i ruoli offensivi, è metà volpe – astuto – e metà gatto – agilità – nel cuore dell’area di rigore, con il suo piattone sempre in agguato. Con quella punta di goffaggine che lo contraddistingue, come la sua cocciutaggine in alcune azioni. Svezzato al Chivas, poi sgrezzato da Sir Alex Ferguson ed affiancato a Rooney, prima della panchina a causa di Van Persie. Salito alla volta di Madrid, non trova conforto sotto l’ala di Carlo Ancelotti, mentre esprime il suo più alto potenziale con Roger Schmidt alla guida. Adesso Slaven Bilic, allenatore meticoloso all’inverosimile, ma con una mentalità volta ad un gioco senza catene. Chicharito può sguazzarci bene, per prolungare ancora il suo sogno europeo.