Più volte, nei campionati più disparati, assistiamo a squadre che riescono a rimanere a galla per più stagioni nella massima serie pur non avendo in rosa nomi di grido, giocatori dal talento cristallino né tantomeno fuoriclasse arrivati a fine carriera e desiderosi di chiudere gloriosamente  apportando esperienza e colpi di classe alla causa. È il caso, ad esempio, del Chievo in Serie A o, più recentemente, del Burnley e del Bournemouth in Premier League.

Altre volte, invece, c’è chi approda nel massimo campionato presentando una rosa di tutto rispetto che sembra destinata a scalare rapidamente la classifica quantomeno per accedere ad una tranquilla salvezza e chissà, per sognare il miracolo europeo. È questo il caso del Middlesbrough, tornato a competere in Premier dopo sette anni di assenza in cui si è sfiorato anche il fallimento (sventato dall’arrivo dell'attuale presidente Steve Gibson). Il Boro si è presentato alle porte della top division britannica infarcito di talenti promettenti e navigati fuoriclasse internazionali: da Alvaro Negredo, in prestito dal Valencia, a Victor Valdes, arrivato a parametro zero, oltre ai giovani de Roon (strappato con 15 milioni all’Atalanta) ed all’ex-Ajax Victor Fischer, seguito a lungo anche dal Napoli. Completavano il quadro di quella che doveva essere un’agevole salvezza Stuart Downing, ex-Liverpool, l’ex-United Fabio e i due nazionali uruguayani Gaston Ramirez e Stuani.
Trentotto partite dopo, invece, i biancorossi devono fare i conti con una retrocessione arrivata in anticipo sulla fine di un campionato disastroso. Il giovane Bamford e Rudy Gestede, arrivati rispettivamente da Chelsea ed Aston Villa nel mercato di gennaio, non hanno dato l’apporto sperato; Aitor Karanka, allenatore simbolo della risalita, è stato esonerato dopo le sole quattro vittorie in ventisette incontri per essere sostituito dall’allora vice Steve Agnew, e dopo appena una stagione il Middlesbrough deve sprofondare di nuovo in Championship.

Le colpe, ovviamente, ricadono proprio sui protagonisti più attesi: nonostante il bagaglio offensivo a disposizione, il Boro ha sempre faticato tantissimo a costruire gioco e ad arrivare in attacco. Non a caso, i biancorossi sono l’ultima squadra della banda per gol segnati, appena 27, e per tiri tentati, 357, l’unica sotto la doppia cifra di media a partita, e non possono neanche addossare più di tanto la colpa alla sfortuna: solo sei i legni colpiti in tutto il campionato. Le statistiche, è vero, non misurano il valore di una squadra, soprattutto nel corso di una stagione varia e ricchissima di impegni come quella inglese, ma è evidente che, a guardare i nomi dei mestieranti a disposizione di Karanka ed Agnew, era lecito aspettarsi molto di più. Nessuno degli attaccanti (né tantomeno dei centrocampisti) ha trovato la doppia cifra di gol stagionali, ed il dato è abbastanza laconico: il miglior marcatore è lo squalo Alvaro Negredo con nove realizzazioni in trentasei partite, fotografia di una fase offensiva davvero troppo brutta per essere vera. Nonostante diverse dignitose prestazioni della retroguardia, tenuta in piedi dall’ottimo Ben Gibson (sempre presente in questo campionato, il migliore per incidenza e per approccio alle partite) e – al netto di qualche errore – dall’esperienza di Victor Valdes, raggiungere la salvezza sarebbe stato davvero difficile.

Nel North Yorkshire, comunque, il momento peggiore è stato vissuto tra fine febbraio ed inizio marzo: quando tutti erano convinti che il finale di stagione avrebbe garantito al Boro lo sprint per agguantare la salvezza, le due sconfitte esterne contro Stoke e Crystal Palace ed il conseguente esonero di Karanka hanno sostanzialmente inaugurato il funerale della stagione biancorossa: da lì in poi solo sei punti in undici partite. L’istantanea migliore di un'annata così funesta, però, arriva paradossalmente dalla partita più triste: un Middlesbrough oramai allo sbando perde 3-0 sul campo del Chelsea nel Monday night della trentaseiesima giornata ottenendo la matematica certezza della retrocessione. Proprio lì, nel momento più duro da affrontare, però, tutto il settore ospiti si compatta, si alza in piedi ed applaude i propri beniamini, che a loro volta ricambiano tra le lacrime e la delusione.
Ecco, se ad una squadra dal blasone leggendario come il Middlesbrough servisse uno stimolo per ripartire, ecco dove trovarlo: nella passione dei tifosi, della gente comune. Nella passione, nell’attaccamento alla maglia dei Gibson, dei Leadbitter, dei Clayton. Perché la gloria, e con essa la permanenza in una serie come la Premier League, non sempre arriva assieme ai grandi nomi. Lezione – si spera – imparata.