Più che di missione completa, forse è meglio parlare di stagione salvata, anche se il confine è decisamente labile e forse nemmeno esiste. L'Arsenal ha conquistato la tredicesima Fa Cup, la settima sotto la gestione di Arsène Wenger, battendo 2-1 il Chelsea di Antonio Conte, quella che era stata definita all'unanimità la miglior squadra d'Inghilterra, la trionfatrice in campionato. Una lezione tattica, un saggio di tecnica e di forza mentale, quello che sembrava essere lo storico punto debole dei Gunners. A Wembley è cambiato tutto, gli uomini di Conte sono rimasti imbrigliati: Londra è stata in blu fino a una settimana fa, ora, per qualche giorno, sarà di nuovo red

Fonte immagine: Twitter @Arsenal
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Terza Fa Cup in quattro anni per l'Arsenal, tredici totali. Seconda volta (su due) che i Gunners battono il Chelsea in finale.

Già dalle prime battute l'Arsenal ha chiarito le proprie intenzioni, ovvero la voglia di giocarsela a viso aperto, governando il possesso palla, una prerogativa del gioco Wengeriano. Il fraseggio non è stato però sterile, ma si accompagnava alla concretezza, sfatando per novanta minuti un mito che era andato consolidandosi nel corso delle stagioni. La palla passava sempre dai piedi di Granit Xhaka, la mente dell'undici, il quale ha completato 73 passaggi (49 in avanti) con una precisione dell'88%, risultando il migliore in campo nella specialità. Il suo partner-in-crime Aaron Ramsey ha mosso circa la metà dei palloni, mandandone a destinazione il 95%. La pressione di Kanté e la fisicità di Matic non hanno intaccato i numeri dei due interni Gooner, magistrali nella gestione e soprattutto nei movimenti: che i due si completassero per caratteristiche era noto, dimostrarlo in una finale di Fa Cup apre però rosee prospettive per il futuro.

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La massiccia prestazione della mediana è lo specchio di un'organizzazione al limite della perfezione, a tutto tondo, sia in fase offensiva (e questa, storicamente, non è una notizia) sia in fase difensiva, l'aspetto decisamente più sorprendente. Il passaggio alla difesa a tre aveva restituito verve, ma anche solidità, dando maggiore libertà ai due interni di giocare in anticipo e staccarsi a turno dalla linea per andare a contrastare, azione utile soprattutto nelle situazioni in cui Pedro e Hazard hanno provato a distendersi e innescare il tre-contro-tre. Holding e Monreal hanno chiuso con un bilancio complessivo di sei tackles vinti, quattro intercetti, dieci palloni liberati. Non male per coloro che erano considerati gli anelli deboli insieme a Mertesacker, il quale ha contenuto Diego Costa con un lavoro fisico magistrale: da centrale a tre, il tedesco ha visto svanire i suoi difetti di velocità, dovendo giocare una partita più statica, bloccando i palloni alti indirizzati all'ex Atletico. E le assenze di Mustafi, Koscielny e - in parte - Gabriel Pauliste non si sono fatte sentire.

Wenger indovina anche le scelte in avanti: Welbeck magistrale col fiato, Giroud decisivo, entra e fa l'assist per il 2-1.

In avanti, Welbeck e Sanchez hanno fatto il bello e il cattivo tempo, con l'imprescindibile contributo di fiato e corsa di Bellerin a destra e Ramsey centralmente, i quali hanno scambiato spesso la posizione con un Ozil che tendeva a scendere per giocare la palla, svariare per innescare la velocità e gli inserimenti che hanno mandato totalmente in palla la difesa di Conte. Azpilicueta ha accusato un deficit fisico, mai aiutato da un David Luiz. Sono emersi tutti i limiti del brasiliano, incapace di leggere adeguatamente i movimenti degli attaccanti. Solo Cahill è riuscito a tenere in piedi la baracca con due salvataggi sulla linea, mentre la sua squadra tendeva al naufragio, prima di risalire nel secondo tempo.

Secondo gol decisivo in tre anni per Ramsey, dopo il gol nei supplementari all'Hull nel 2014.

Al dominio incontrastato nel primo tempo si è contrapposta una seconda frazione di gioco di maggior sofferenza per i Gunners, complici il risveglio del Chelsea e la necessità di rifiatare: impossibile reggere novanta minuti ai ritmi della frazione d'apertura. Sono rimasti lucidi gli uomini di Wenger, nonostante si siano trovati spesso schiacciati all'indietro dalla pressione Blue, facendo emergere anche personalità, indispensabile per portare a casa la vittoria finale. L'abnegazione in fase difensiva di tutti gli interpreti, anche di Mesut Ozil, il più criticato quando si è trattato di puntare il dito contro chi non l'aveva mostrata, ha portato alla luce tutta la determinazione nel voler conquistare un trofeo, nel salvare la stagione, nel guadagnarsi un riconoscimento per gli ultimi due mesi di stagione, quando l'Arsenal ha rialzato la testa: troppo poco per raggiungere la Champions League, sufficiente per conquistare la settima Fa Cup della gestione Wenger.

Fonte immagine: Twitter @ukpremierit
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Il manager alsaziano è il volto copertina del successo, per molteplici ragioni che trascendono l'aspetto tecnico e tattico. Le voci sul suo futuro si inseguono, c'è chi parla di un biennale già firmato e soltanto da annunciare, chi invece racconterebbe di un divorzio quasi certo. Nei prossimi giorni sarà il diretto interessato a fare chiarezza, a sciogliere i nodi che riguardano il suo futuro. La corrente di pensiero più diffusa lo vorrebbe al passo d'addio, lasciando un indelebile ricordo. "Nessuno ci vedeva favoriti", ha affermato al termine della partita. Dopo aver ribaltato i pronostici, ora potrebbe farsi da parte, chiudendo la propria era, checché se ne dica, con un trofeo di prestigio. Il modo migliore di salutare un ambiente spesso ostile negli ultimi anni, ma che ha indubbiamente assistito ad una delle dinastie più incredibili della storia calcistica recente.

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Giorgio Dusi
Vivo a Bergamo, scrivo di calcio, in particolare di Juventus e Arsenal, e di basket tra NBA ed Eurolega. Giornalista. Laureando. Forse. [email protected]