Per il settimo anno consecutivo, l'Arsenal viene eliminato agli ottavi di finale di Champions League, rimediando la peggior sconfitta di sempre on aggregate per una squadra inglese (10-2).
Per analizzare quanto accaduto ieri sera all'Emirates, è giusto partire dal risultato, dall'epilogo, dai fatti, prima che dalla dinamica. Fatti che testimoniano con chiarezza la superiorità tecnica, psicologica e fisica del Bayern Monaco, dati che dovrebbero porre la parola fine sul rapporto tra la panchina londinese e Arsène Wenger - tanto longevo quanto logoro - al termine della stagione in corso. Risultato che forse non rispecchia del tutto il campo, ma inquadra in modo magistrale il declino della stagione in corso e della guida tecnica dell'alsaziano.
Il campo emette il proprio verdetto, per certi versi bugiardo, regalando un'istantanea chiara dell'Arsenal degli ultimi anni. Una squadra che, appena subisce la botta emotiva negativa, si scioglie come un cubetto di ghiaccio in un secchio di acqua bollente. Come in un incubo ricorrente. In entrambi i casi, l'episodio vede protagonista Laurent Koscielny, vero insostituibile dell'undici titolare londinese. All'andata fu il suo infortunio a togliere di colpo tutte le certezze, facendo precipitare il punteggio da 1-1 a 5-1; ieri sera, la sua espulsione, ingenua, dettata dalla paura del momento.
Senza il francese, l'arco perde la propria chiave di volta. Con l'uomo in meno, dopo aver subito il pareggio, gli inglesi smettono di giocare, non ci credono più. Il Bayern può correre sul velluto, trova praterie, dilaga. Non poteva essere altrimenti, conoscendo da tempo la poca forza d'animo dell'Arsenal. Quello che resta è l'1-5 finale, è l'amarezza, la rabbia, i rimpianti.
Rimpianti acuiti dal primo tempo di ieri, nel quale i Gunners dimostrano di potersela giocare più che alla pari: dominano in lungo e in largo, non permettono ai bavaresi di completare più di tre passaggi consecutivi nella metà campo avversaria. Occupazione della linea di passaggio, uscite aggressive e mai a vuoto, elastico perfetto tra i reparti che frutta contropiedi continui. Lo specchio del primo tempo è Chamberlain, riproposto da mediano, con compiti di spinta e rottura, ma non del gioco avversario, bensì delle linee avversarie in fase di spinta e avvio dell'azione.
Insieme a lui, Granit Xhaka offre 50 minuti di pura solidità e classe, aprendo il campo, tenendo la posizione e lavorando di fisico senza risultare irruento, come spesso gli capita. Sarebbe di gran lunga la miglior prestazione dello svizzero da quando è a Londra, non fosse che poi, da difensore adattato, finisce per rovinare tutto. In una posizione ovviamente non sua, in condizioni tecniche di emergenza e psicologiche pessime.
Il centrocampo è specchio di un primo tempo che potrebbe terminare senza problema alcuno 3-0, per la mole di occasioni e il dominio mentale sulla gara dei padroni di casa.
Invece, quel primo tempo resta solamente un puntino di luce in mezzo alla nebbia. Un'illusione di ciò che poteva essere, se solo la squadra fosse riuscita a mantenere lo stesso atteggiamento dei primi tempi per tutti i 180 minuti. Il problema storico dell'Arsenal che ritorna prepotentemente a sogghignare davanti ai tifosi, come uno spettro uscito nuovamente allo scoperto. Un punto debole, forse il punto debole per eccellenza, ancora una volta pagato a caro prezzo. Con l'ennesima umiliazione per Wenger.