Sorriso, Porto Alegre e autunno. Tre parole totalmente sconnesse tra loro che però, prese nella stessa data e nella stessa ora, si uniscono. Basta un nome, basta una giornata di sole ed un pianto per poter tornare, con una virtuale macchina del tempo, all'autunno brasiliano di trentasette anni fa, quando in un piccolo Barrio di Porto Alegre vede la luce un neonato dai ricci neri come il carbone e quella dentatura particolare. Ne son passati di anni, da quel gemito che oggi si traduce in pianto per i tanti amanti del Futbol perchè oggi, quel bambino di trentasette anni, o quasi, si ritira. Si ritira Ronaldinho.

Oggi è uno di quei che giorni che vorresti non arrivassero mai, quei giorni in cui un intero periodo della vita ti passa davanti come un flashback infinito in cui tornano alla memoria le prodezze di colui che, a tutti gli effetti, è un genio che ha disegnato arte nei campi di Futsal in Brasile e poi nel prato verde passando da Parigi a Barcellona fino ad arrivare a Milano. Non neghiamolo, oggi è uno di quei giorni in cui ci si sente un po' più vecchi e un po' più tristi, perchè un'intera generazione di calciatori ci sta abbandonando, lasciando a noi ricordi da poter riguardare per ore attraverso i video su Youtube, video che entrano già nella nostalgia, quella sana però.

Per poter spiegare Ronaldinho a chi non ha avuto la fortuna di ammirarlo si prende una parola dal vocabolario, una parola corta: genio. Si, perchè il genio è "Fantasia, intuizione, decisione e volontà di esecuzione" come diceva Il Perozzi nel film Amici miei, il genio non è qualcosa che si impara ma si ha dentro sin da subito, il genio è quell'istinto che ti permette di risolvere problemi con una intuizione come quella al Chelsea con un tiro anti-fisico, come le rovesciate ad Atletico e Villarreal, come la sassata surreale disegnata all'esordio con il Barcellona, come la punizione all'Inghilterra e, dulcis in fundo, la doppietta al Bernabeu.

Ecco, per capire la grandezza di Dinho, basta prendere quella partita per capire che, attraverso quella sua risata contagiosa, riusciva a farsi volere bene anche dai nemici più acerrimi, rimasti in piedi per dieci minuti ad applaudire due gol da antologia. La risata, il centro del mondo per i brasiliani, perchè alla fine per loro vivere è un po' come ridere, perchè il futbol è un festa in cui ognuno deve ritagliarsi la propria parte e c'è chi questa parte l'ha resa immensa e ineguagliabile proprio come lui.

Una parte che ogni ragazzo nella nostra età ha provato a imitare guardando per ore i suoi numeri da freestyle oppure provando cento volte l'elastico per poi cadere su se stessi tra le risate dei compagni. Chi non ha provato ad imitare il suo no-look e la voglia sfrenata di dribblare mille volte tutti calciando quattro volte il pallone sulla traversa, anche se questa è una leggenda metropolitana. Chi non si è prostrato davanti a lui come Neymar. Chi non ha provato a buttare giù la porta da trenta metri o inventare cose da fermo come ha fatto negli anni al Milan, si perchè lui aveva una velocità di pensiero cosi inimmaginabile per gli altri che poteva permettersi il lusso di non correre. Chi non ha pagato il biglietto solo per ammirare le sue gesta dal riscaldamento fino alla fine. Si, perchè lui giocava per noi, era uno di noi. 

Che cos'è il genio? Colui che esce dallo spogliatoio, imbraccia un pallone disegnando arte e calcio con il sorriso spontaneo sempre stampato sulle labbra, quel sorriso fanciullesco che ogni bambino ha quando rincorre istintivamente il pallone, quel sorriso che ci ha conquistati, che oggi ci lascia un gusto amaro in bocca e la consapevolezza che uno come il Gaucho non lo rivedremo più. Obrigado Dinho.