"Non siamo più i migliori", titola stamattina Marca, il più diffuso quotidiano sportivo spagnolo. L'eliminazione della Roja dagli Europei di Francia 2016 per mano dell'Italia di Antonio Conte come fine di un ciclo glorioso, che peraltro in Spagna non smettono di celebrare. Otto anni da quasi imbattibili, in cui sono stati messi in bacheca due campionati continentali e un Mondiale, si chiudono con la sconfitta di Saint-Denis, ultima fermata per una squadra apparsa lenta, prevedibile, stanca, persino rassegnata.

E se il futuro di Vicente Del Bosque è tutto da scrivere (nessuna decisione è stata ancora presa), così come quello di alcuni veterani particolarmente criticati (da Sergio Ramos a Juanfràn, passando anche per Iniesta), il presente racconta di una nazionale giunta all'ultimo ballo dopo scivoloni che ne avevano segnalato le difficoltà. I più attenti tra gli osservatori del gioco della Selecciòn avevano notato degli scricchiolii sinistri già ai tempi della Confederations Cup 2013, quando la stessa Italia di Prandelli fu in partita per 120 minuti in semifinale (sconfitta ai rigori, errore di Bonucci) e il Brasile di Neymar spadroneggiò nell'atto conclusivo del torneo. Poi il fallimento mondiale, quello del tuffo di testa di Van Persie e della sua Olanda, del Cile di Jorge Sampaoli e di un'inattesa eliminazione alla fase a gironi, fino ad arrivare alle difficoltà dell'ultimo biennio (qualificazione sofferta in un gruppo non impossibile come quello della Slovacchia). Sotto la pioggia di Saint-Denis la Spagna si è sciolta immediatamente, mai in partita contro gli azzurri, e soprattutto con i reparti molto distanti tra loro: un undici lunghissimo che se l'è cavata grazie alla scarsa mira degli attaccanti italiani, ma che ha costretto a lungo David De Gea agli straordinari.

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Tutti i limiti della Roja sono emersi improvvisamente e in maniera clamorosa, da una tenuta atletica deficitaria, alle difficoltà di Piquè nel difendere sugli inserimenti, passando per le debolezze strutturali di un attacco senza punte, eccezion fatta per Alvaro Morata, puledro di razza che però non è ancora il centravanti che può prendersi una squadra sulle spalle. Già dopo il primo quarto d'ora Vicente Del Bosque avrebbe dovuto cambiare schieramento: impossibile resistere con quel 4-1-4-1 mascherato da 4-3-3 con settanta/ottanta metri di campo da coprire, soprattutto con Iniesta e David Silva ormai più trequartisti che mezze ali. Un 4-4-2 con Nolito (disastrosa la sua campagna europea) sull'esterno sinistro avrebbe quantomeno permesso alla Roja di coprire meglio le falle createsi lungo il prato di Saint-Denis, ma Del Bosque ha deciso di affondare non solo con i suoi uomini, ma soprattutto con il suo sistema. Squadra di palleggio, la Spagna non ha voluto abdicare alla sua vocazione nemmeno contro l'evidenza e l'impossibilità di tenere i reparti stretti, finendo per essere dominata in lungo e in largo dall'Italia, razionale e senza dubbio organizzata (anche se con la Germania sarà tutta un'altra partita).

Rimasti seduti Bellerin e Thiago Alcantare, le Furie Rosse sono andate a picco in maniera inesorabile, con Juanfran e Fabregas sempre in difficoltà contro De Sciglio e Giaccherini, mentre Sergi Busquets dimostrava quanto fosse complesso per un lungagnone che gioca di posizione dover rincorrere avversari a destra e a manca. Ne è scaturita così una Selecciòn che non ha difeso nè attaccato, salvo provare qualche assalto di nervi alla porta di Buffon nel finale, avendo persino con Piquè il pallone - un po' casuale - del pareggio. Una squadra costruita per una punta rapida e scattante come è stato nel passato David Villa ha infine pagato la staticità prima di Morata (sbranato dai suoi ex compagni di squadra e ammalatosi di solitudine), poi di Aritz Aduriz, il vecchio leone basco uomo d'area di rigore. I soli Lucas Vazquez e Pedro hanno dato un minimo di vivacità a una manovra totalmente involuta, fornendo un'alternativa sugli esterni. E' finita però in maniera ingloriosa, con il gol di Pellè a sancire una netta inferiorità tecnica, tattica e atletica. Per alcuni una lezione di calcio, per altri la fine del tiki-taka (in realtà la dimostrazione che si tratta di un sistema molto sofisticato, in cui ogni ingranaggio deve essere perfettamente oliato), senza dubbio la caduta dei nuovi maestri del calcio.