2 anni, 6 mesi e 14 giorni. Tanto è durata la seconda esperienza di José Mourinho sulla panchina del Chelsea, iniziata sotto i migliori auspici il 3 giugno 2013, con la sensazione dovesse durare per sempre, o quasi, dopo i tre travagliati anni a Madrid, sponda Real. Il ritorno a Londra era come un ritorno a casa, è stato accolto quasi come il figliol prodigo, e forse anche come una sorta di "messia", colui che doveva tornare e vincere tutto, o quantomeno provarci.
Il primo anno del Mou-bis, quello dell'happy one, è stato vissuto tra delusioni parziali e una squadra non del tutto sua, con il mercato che non aveva portato tutti i rinforzi necessari per vincere, una situazione poco definita in attacco, senza un vero goleador e qualche incertezza di troppo. La stagione si concluse con i Blues al terzo posto complici i troppi punti persi, alle spalle del Liverpool, quel Liverpool battuto 2-0 ad Anfield con le riserve, e il Manchester City campione. Un anno da guastafeste, più che da protagonisti.
La scorsa stagione è stata quella del trionfo: nella prima parte la squadra assolutamente implacabile, per poi calare leggermente dopo il giro di boa, ma comunque riuscendo a gestire il vantaggio. Si vedono però alcuni segni di cedimento: il PSG elimina il Chelsea agli ottavi di Champions, giocando in 10 uomini dalla mezz'ora in poi al ritorno. Ma la Premier la alzano a Stamford Bridge, e a Wembley a inizio marzo arriva anche la Capital One Cup. I Blues alla fine chiudono con 8 punti di vantaggio in campionato, con tanta fiducia, tant'è che si presentano ai nastri di partenza di quest'annata 2015/16 come favorita numero uno.
Stessa squadra, con qualche innesto, stesso manager, stesse idee. Come si può, sulla carta, non essere gli indiziati numero uno per ripetersi?
Eppure comincia male, malissimo. Il caso Carneiro, ancora tutto da spiegare. La squadra che non gira come dovrebbe. Non funziona nulla, i meccanismi difensivi che lo scorso anno hanno rappresentato la forza non sono più così efficaci, i giocatori in campo non si trovano, faticano a carburare. E quella forza nervosa che lo scorso anno trascinava il Chelsea non c'è più, è sparita. Arrivano le prime sconfitte, ma anche alcune vittorie. Poco convincenti, ma pur sempre vittorie.
Col passare del tempo la situazione precipita, la squadra somiglia sempre meno a quella che Mourinho ha in testa. Il motivo? Difficile da spiegare, difficilissimo. Comincia la caccia alle streghe, e ovviamente uno dei primi nomi che finisce sulla graticola è proprio quello del tecnico. Palese che la squadra non lo segua, e le panchine punitive dei vari Oscar, Hazard, Terry e Diego Costa ne sono la testimonianza, lo spogliatoio è spaccato in due. Sono solo due le note veramente positive: Willian, unico vero trascinatore in campo della squadra a suon di giocate e di gol (capocannoniera stagionale a quota 7), e Zouma, divenuto titolare fisso e autore di buone prestazioni individuali.
Mourinho resta giustamente sulle sue convinzioni, quelle che l'hanno portato a vincere tutto nella sua carriera da allenatore, ma la squadra non gli assomiglia. I giocatori non lottano fino all'ultimo secondo, i nuovi innesti non sono quelli giusti, Falcao in primis è un acquisto inutile, Pedro va a scatti, Djilobodji e Baba non incidono, si salva Begovic che prova con le sue parate a non far rimpiangere Courtois. Ma quello che si rimpiange è l'atteggiamento.
La domanda che ci si pone è: Mourinho, in tutto questo, che colpe ha? Forse nessuna. Non conosciamo i segreti dello spogliatoio del Chelsea, ma conosciamo i metodi di Mourinho. Sa dare scosse, forse nessuno come lui è capace di smuovere qualcosa nella testa dei suoi giocatori, ed è francamente surrealistico pensare che non abbia mosso un dito per provare a darla, quella scossa.
I risultati continuavano a non arrivare, il Chelsea non ci crede, chi va in campo non mette tutto per il tecnico come succedeva l'anno precedente e anche quello prima ancora. Una spaccatura nettissima tra lui e lo spogliatoio, un problema di testa dei giocatori. E se neanche Mou li riesce a smuovere, allora l'unica vera scossa da dare era la più dolorosa, ma più necessaria: la risoluzione. Da capire se poi sia davvero una risoluzione, perchè lasciare la propria casa è sempre difficilissimo. Ogni tanto però gli eventi sono più forti della volontà.