26 novembre 1953. Giorno seguente al 6-3 inflitto dall’Ungheria all’Inghilterra a Wembley, Geoffrey Green, giornalista del Times, scrisse: “I giocatori inglesi si sono sentiti più o meno come degli estranei approdati in un mondo altrettanto estraneo e sconosciuto, un mondo di svolazzanti spiriti rossi, visto che gli ungheresi sembravano muoversi ad un ritmo vertiginoso esibendo una bravura eccezionale e potenti conclusioni verso la porta avversaria nelle loro splendenti divise color ciliegia”.
Quello che travolse l’Inghilterra, madre del calcio che si considerava ancora avvolta in un’aura di supremazia, fu l’Aranycsapat, la squadra d’oro ungherese. Quella che vi racconteremo non è una storia come tutte le altre, ma la storia di una delle squadre più forti che l’Europa e il Mondo avesse mai visto fino agli anni ’50. Tutto partì già nel secondo dopo Guerra, con una squadra capace di strappare il titolo olimpico nel 1952 ad Helsinki e di essere imbattuta dal 1950. Una Nazionale che si sostituì alla leggenda del Wunderteam austriaco, che tanto aveva fatto negli anni precedenti e tanto aveva incanto le folle.
Alla base dell’Aranycspat c’era una rivoluzione tattica unica. Il fondamento tattico di tutte le formazioni europee era il Sistema inventato da Herbert Chapman. Un 3-2-2-3, il W-M, che divenne il modulo simbolo di quella generazione di calciatori. Un sistema di gioco rivoluzionario che negli anni ’30 cancellò dalla mappa tattica calcistica la Piramide di Cambridge, un 2-3-5 che ben poco aveva da dire. In difesa si posizionavano 3 giocatori, i due terzini andavano a ricoprire le due ali e il difensore centrale era un puro stopper con il compito di marcare l’attaccante avversario; a centrocampo erano presenti 4 giocatori schierati a mo di quadrilatero, con i due più arretrati con caratteristiche più difensive e di raccordo, mentre i due più avanti erano sostanzialmente il corridore e il regista della squadra; mentre in attacco c’era 3 giocatori puramente offensivi. Oggi possiamo definirlo come un modulo scolastico e rigido, ma ottant’anni fa non esisteva il concetto di difesa e di equilibrio, fu proprio Chapman negli anni ’30 a creare tutto ciò.
Ma tornando al cambiamento tattico utilizzato da Gusztav Sebes, il fautore di quella straordinaria squadra, c’era in realtà un rimedio ad una mancanza. Infatti, la maggior parte delle squadre utilizzava un centravanti tipicamente “all’inglese”, grosso fisicamente che possiamo ricondurre ad un ariete, ma l’MTK Budapest, allenato da Bukovi, si ritrovò senza il proprio “carro armato” e dovette trasformare il W-M in un M-M, con un centravanti che ripiegava fino al centrocampo diventando il punto di raccordo fra la fase di impostazione e quella offensiva. Il primo giocatore, che oggi possiamo definire un centrocampista offensivo, fu Peter Palotas, attaccante tecnico, che sapeva smistare molto bene, ma che, non avendo un tiro potente, non era il classico goleador. Perciò, quando Sebes decise di impiegare quel modello di gioco anche in nazionale, scelse proprio Palotas come punta arretrata.
Qui, però, inizia la storia. 1952, Giochi Olimpici in dirittura d’arrivo e l’Ungheria affronta la Svizzera in amichevole. Il primo tempo è pietoso, Ungheria sotto di due gol. E qui la svolta, perché Hidegkuti, attaccante interno dell’MTK, subentra a Palotas. Tutti lo considerano un semplice esperimento per vedere se Hidegkuti, ormai trentenne, fosse in grado in grado di giocare quel ruolo. Finisce la partita e l’Ungheria umilia nel secondo tempo la Svizzera segnando 4 gol. Lo stesso Puskas, motore pulsante di quella squadra e probabilmente il miglior giocatore di quell’epoca, disse subito dopo: “Era perfetto per quel ruolo. Ha fatto grandi passaggi e ha sfiancato i difensori avversari con le sue penetrazioni centrali”.
Hidegkuti divenne così il centrocampista offensivo per eccellenza, trasformandosi in uno dei giocatori più immarcabili e decisivi degli anni ’50. Ma l’evoluzione tattica di Sebes non finì lì, infatti decise anche di chiedere alle due ali di retrocedere fino al centrocampo per prendere i passaggi di Hidegkuti e Bozsik.
Così, con questa tattica rivoluzionaria, l’Inghilterra non capì più nulla. Alla base di tutto ciò c’è una questione principalmente culturale. Le marcature venivano prese in base al numero di maglia. Ad esempio l’ala destra, che aveva il numero 7, si schierava opposto al difensore sinistro, che aveva il 3 e così via per tutti gli altri. L’Ungheria si presentò con una numerazione che seguiva sostanzialmente la successione dei giocatori come se questa fosse da leggere direttamente sul terreno di gioco. Kenneth Wolstenholme, commentatore televisivo della partita, dovette addirittura spiegare ai telespettatori lo schieramento tattico degli ospiti, sconosciuto a tutti. E fu così che Hidegkuti uccise letteralmente l’Inghilterra con una tripletta e creando una confusione totale nei giocatori inglesi, che non sapevano come marcarlo. “La cosa tragica fu la nostra totale impotenza. Il non essere in grado di fare assolutamente nulla contro quell’atteggiamento” - scrisse anni dopo nelle sua autobiografia Harry Johnston, mediano della formazione inglese.
La vittoria dell’Ungheria dimostrò all’Inghilterra intera che il calcio si era evoluto al di fuori del Regno Unito, dove invece era rimasta una superiorità tale che gli inglesi pensavano che nessuno potesse essere più forte di loro. Quella fu la prima sconfitta in territorio inglese da parte di una squadra straniera. E questo minò seriamente le convinzioni dell’Inghilterra in ambito calcistico. Ma questo non cambiò neanche 6 mesi dopo, quando l’Aranycsapat rifilò un ben più sontuoso 7-1 agli inglesi.
Dopo questa vittoria così importante dal punto di vista mediatico, l’Ungheria rimase uno schema di gioco incompiuto. Infatti, dopo aver collezionato una striscia positiva di 36 partite senza perdere, i sogni di Puskas e compagnia si infransero contro la Germania dell’Ovest nel 1954, durante la finale della Coppa del Mondo. Un vantaggio iniziale di 2-1 vanificato fino alla sconfitta per 2-3. Quello che cambiò la partita fu un trucchetto di Herberger, allenatore della formazione tedesca, che mise Eckel in marcatura a uomo di Hidegkuti. Ma gli ungheresi, più di ogni altra cosa, pagarono una fragilità difensiva che già contro l’Inghilterra si era intravista.
Da quella sconfitta in poi il mito dell’Aranycsapat finì. La squadra al ritorno in Ungheria dovette atterrare a Tata per evitare le proteste popolari. Puskas venne fischiato ininterrottamente negli anni successivi. Il figlio di Sebes venne picchiato a scuola e il portiere Grosics venne arrestato. L’anno successivo, con la sconfitta subito per mano del Belgio, anche Sebes fu lasciato a casa e da lì in poi si dedicò all’insegnamento dell’educazione fisica. Ma quello che rimane di quell’Ungheria è di aver dimostrato agli inglesi che la loro superiorità era in realtà finzione. Di aver incantato per anni le folle con uno dei moduli più rivoluzionari degli anni ’50 e di aver mostrato all’Europa quel talento fuori dal comune di Ferenc Puskas. Ma questa è un’altra storia.