Antonio Conte e l'Italia, un amore non semplice. Il carattere di Conte, scontroso, forte, poco incline al compromesso, mal si coniuga con le esigenze azzurre, con i limiti intrinseci a una posizione che spesso è in balia delle voglie dei club. La Nazionale appare spesso come un di più, un qualcosa a cui dedicare attenzione solo in determinati frangenti, Europeo o Mondiale, un fastidio che a intervalli prestabiliti giunge a complicare la stagione. Conte lotta contro questa visione, si batte per avere maggior spazio in cui lavorare, testare, provare, per creare un gruppo in grado di ben figurare al prossimo Europeo.

Impossibile rifiutare l'Italia, soprattutto dopo il flop iridato. Conte è rottura, stacco netto rispetto al passato, per profilo soprattutto. Da Prandelli, un moderatore, un uomo che ama il silenzio, a Conte, nato per dividere, far discutere, un vincente come osa definirsi lui. La sfida attrae troppo per rifiutarla o interromperla, Conte continua, poi si vedrà. Il futuro è in un club, perché la voglia di essere ogni giorno sul campo aumenta in modo esponenziale col passare dei giorni, ma il presente è azzurro.

"Sicuramente ora svolgo una tipologia di lavoro diversa rispetta al passato: prima avevo un contatto quotidiano con i giocatori e con il profumo dell’erba, ma ho deciso con il cuore e sono andato a scegliere la Nazionale in un momento non semplice, mi auguro che sia la cosa giusta. Ora penso solo all'Italia, quando scadrà il mio contratto (31 luglio 2016, dopo l'Europeo di Francia, ndr) vedrò cosa fare. Potrei cimentarmi all'estero o magari sposare qualche bel progetto in Italia...".

"A me piace lavorare, vorrei lavorare, e mi sono accorto che in questa veste è più difficile farlo con una certa continuità e questo mi ha, fra virgolette, un po' 'deluso'. Da me ci si aspetta sempre il massimo risultato. Non è che chiedo troppo ma so anche che, nell’immaginario collettivo, se una squadra prende Conte deve vincere. Negli ultimi sei anni ho vinto cinque campionati (tre di A e due di B, ndr), e la mia storia porta ad avere pressioni".

Il discorso verte poi sull'impegno europeo della Juventus. L'Italia è ora un passo indietro rispetto alle potenze del Vecchio Continente, che hanno una disponibilità economica superiore e un progetto consolidato, ma la Champions è spesso decisa da episodi, momenti favorevoli, istanti "Bisogna avere pazienza e anche l’umiltà di capire che oggi ci sono squadre di altri Paesi con più esperienza e più soldi che, per ora, la fanno da padroni. Detto questo, in Champions puoi andare avanti anche se hai un sorteggio favorevole, se non becchi il Bayern o il Real sino alla finale".

Il finale è amaro. Difficile comporre una Nazionale di valore quando la base è limitata, quando il margine di manovra e scelta è ridotto all'osso da politiche errate "Rispetto al 2006, quando l’Italia vinse il Mondiale, Lippi poteva scegliere fra un 64% di giocatori italiani; oggi ho a disposizione un 33-34%. Questo dato ti fa capire la difficoltà che ho nel selezionare i giocatori, è un grido che lanciamo da tempo ma non viene recepito. Dispiace per Sacchi, per come è stato trattato, perché conosco la persona e il suo intendimento non era razzista, ma ho capito che in Italia tante volte ci facciamo male da soli".