Per 35 minuti il pubblico tedesco si stropiccia gli occhi, osserva incredulo il campo, e in un misto di eccitazione e stupore incita a ondate i padroni di casa. L'Atletico, finalista della scorsa edizione, è alle corde, mischie continue nell'area di Simeone, Moya a vuoto in uscita, Spahic che prima prova la zampata da pochi passi, poi stampa all'incrocio il possibile vantaggio. La partita è una corrida e i tori sono quelli del Bayer, mentre Griezmann e soci sono colpiti a ripetizione, sbattuti a terra da un'aggressività superiore. Si alza anche il gigante Burgos dalla panchina e va faccia a faccia con Schmidt, ma il tecnico del Bayer non indietreggia un passo, proprio come gli uomini in campo. L'Atletico è travolto, dalle sue stesse armi; corsa, organizzazione, forza. 

Non manca la qualità, perché il Bayer gioca anche a calcio, col 10, Calhanoglu, il pezzo pregiato del mercato, una delizia per gli occhi, con i movimenti continui e imprendibili di Son e Bellarabi, con la fisicità di Drmic. L'Atletico esce dal guscio, quando il Bayer rifiata, e Leno, prospetto interessante, è grande nel riflesso su Tiago. Ti aspetti una partita diversa nella ripresa, ritrovi lo stesso scenario, perché il Bayer, ricaricate le pile, torna a premere, e l'Atletico, già senza Siqueira e Saul, non ne ha. Bellarabi col tacco per Calhanoglu, battuta potente, imprendibile. Esplode la gente, in festa. Il Bayer vede l'impresa farsi realtà, mentre Simeone scuote il capo, lo fa in realtà dall'inizio. Qualcosa non va. 

La reazione è scomposta, cartellini, pesanti. Godin, diffidato, prende il giallo, Tiago è cacciato, Torres prova a dar più di Mandzukic, ma non è serata di fioretto, vince il Bayer, di stretta misura, poco per quanto visto. Simeone porta a casa la pelle, ma conta le assenze. Serve un altro Atletico al Calderon, per energia e testa. L'ottavo più scontato diventa improvvisamente elettrico.