Leonardo Ulloa è nato nella parte 'bonita' dell'Argentina. Le favelas le conosce, ma grazie a Dios, non ci ha mai vissuto. E' cresciuto a General Loca, nel Nord dell'Argentina, capoluogo dello stadio di Rio Negro, città accogliente, pulita, piena di parchi, città che cerca di essere al passo con l'Occidente ricco, dove spuntano dalla terra molti edifici. Non è la solita storia rose e fiori, nonostante la bella premessa. Ulloa giocava nella squadra locale. Un giorno, l'allenatore, lo butta dentro durante un'amichevole contro la Comisión de Actividades Infantiles (comunemente conosciuto come CAI). Quel ragazzino là fece una discreta impressione: tripletta. Lo staff della CAI, subito dopo la partita, parla con la General Loca. L'allenatore della squadra comunica ad Ulloa che gli avversari sono interessati ad averlo in prestito. Un 16enne, si sa, è curioso, certo, ma soprattutto è coraggioso e Leo non rifiuta ma accetta la sfida.
“Era la mia chance” - commenta oggi Ulloa a LeicesterMercury.co.uk - “Insomma, avevo 16 anni. Ciò mi avrebbe permesso di essere chiamato nella Nazionale under 17, e ciò mi avrebbe portato al club più importante, il San Lorenzo”.
Era una scelta da fare, dunque. L'unico modo per far sì che il club della capitale, il San Lorenzo, si accorgesse di lui. E lui, a Buenos Aires, con la maglia rossoblu de los Cuervos ci arriva. Ci resta solo due anni (dal 2005 al 2007), poi veste le maglie di Arsenal Sarandí e Olimpo. E allora, il destino, spettatore immancabile e protagonista della sua vita, decide che é il giorno. Il giorno in cui in tribuna c'erano gli osservatori dalla Liga. Era il 2008. Per Ulloa, il più giovane di tre fratelli, lasciare casa fu dura. Ma il volo per la Spagna, per il calcio europeo, per i grandi palcoscenici era pronto. Il Club Deportivo Castellón – o semplicemente Castellón – era ad attenderlo a 10600 km da casa in linea d'aria.
“Mia madre ha sofferto molto. Mio padre ed i miei fratelli, invece, adorano il calcio e sapevano che il mio sogno si stava avverando. Hanno sofferto tanto anche loro ma non hanno apposto resistenza” - continua Leo - “Quando sono andato a Buenos Aires per giocare con il San Lorenzo l'ho fatto per mia decisione. Andare in Spagna non era completamente una mia decisione. All'Arsenal Sarandí e all'Olimpo non giocavo mai, non segnavo mai, e questo mi faceva male. Era quindi questa situazione a spingermi a rilanciarmi, ad andare via. Io volevo giocare a calcio. Avevo una moglie ed una figlia allora”.
Le due stagioni al Castellón, in Segunda División, sono positive: sigla 24 gol in 65 presenze, poi si trasferisce all'Almeria (squadra che militava allora in Liga). Qui conclude la prima stagione come topscorer della squadra con 7 gol ma sfortunatamente il suo club retrocede. Con i biancorossi rimane per tre anni, firmando un gol ogni due partite quasi, nelle stagioni successive. Il bilancio complessivo in tre anni reciterà: 39 gol in 90 partite. Abbastanza per la chiamata dall'Inghilterra del Brighton.
A Brighton finalmente arriva la sua famiglia: sua moglie e le sue due figlie (che si iscrivono anche alla scuola locale, istituto che ancora frequentano). Nella località balneare dell'East Sussex, Ulloa solca le onde del successo: gonfia la rete 23 volte in 50 apparizioni nel solo 2013/2014. Il Leicester, neopromosso, investe la cifra più alta di tutta la storia del club per portarselo a casa (£10m), per portarlo nella grande Premier League.
“Guardando indietro, i miei genitori sanno che la scelta di andare via da casa in tenera età è stata saggia. Tutto il dolore è stato dimenticato perché io ho raggiunto il mio sogno”, disse alla vigilia della gara contro il Manchester United (match giocato domenica scorsa, n.d.r), da lui punito con una doppietta nel risultato di 5-3 finale a favore dei Foxes. Doppietta che si è andata a sommare agli altri gol siglati finora in queste prime cinque giornate di Premier League 2014/2015: uno contro l'Everton alla prima giornata, poi il gol del pareggio contro l'Arsenal ed infine la rete della vittoria contro lo Stoke. 5 centri in 5 match.
Reti che hanno spinto i tifosi delle Volpi della Premier a comporre una canzone per lui intitolata “His name is Leonardo”. Queste le semplici e coincise parole della canzone (trovate il video qui sotto):
“Oh his name is Leonardo,
Leicester's number 23.
Yes he cost a f****** fortune
But he scores goals so that’s alright with me”
CARATTERISTICHE:
Ulloa è una prima punta ma occasionalmente anche esterno d'attacco. Alto 183cm per 80 kg, predilige le conclusioni (dalla distanza e non) col piede destro. Gli piace dare potenza ai suoi tiri, se la cava coi dribbling e di testa, un po' meno con le punizioni. Non è velocissimo a causa del suo fisico, tuttavia sa muoversi agilmente nelle aree strette.
CURIOSITA' :
1. Leo non segue solo il calcio, ma è un grande tifoso di rugby. Nel 2015 ci sarà il mondiale di Rugby in Inghilterra e Leicester sarà una delle città ospitanti (oltre ad essere anche una città che si porta dietro una grande e solida tradizione/storia riguardante lo sport del rugby). Ulloa e Cambiasso non mancheranno all'appuntamento.
2. Ulloa ha parecchi tatuaggi sul corpo ed ha spiegato a Leicestermercury.co.uk il senso dei tattoos più significativi per lui. Sull'avambraccio ha un'elegante scritta 'Sofia': è il nome di sua figlia, quella più grande, quel tatuaggio lo ha fatto sette anni fa (quasi certamente nell'anno in cui è nata la bambina). Affianco al melodioso nome della bimba, c'è un orologio con delle lancette che segnano l'orario in cui la piccola è venuta al mondo. All'esterno del braccio, più visibile, c'è un'altra scritta, 'Morena': è il nome della seconda figlia, quella più piccolina, ed anche al suo fianco c'è l'orologio che segna l'ora in cui è nata. Le catenine dei due orologi da polso si incatenano sotto un colomba, che per lui rappresenta il segno della pace e che le due bimbe saranno unite per tutta la vita.
Sul suo polso c'è un simbolo dedicato al suo amato nonno, José Omar Ulloa, morto a Dicembre dell'anno scorso a 94 anni. La morte del nonno ha scosso talmente tanto Ulloa che il calciatore non è riuscito neanche ad andare al suo funerale. Da quel giorno in poi, quando Leo segna – e la cosa avviene con regolarità ormai – bacia i tatuaggi col nome delle figlie prima di guardare al cielo. “Mio nonno era il simbolo della famiglia. Se da noi ci fossero stati i barbecue la domenica, lui sarebbe stato quello che stava al grill a cucinare la carne. Lui si sedeva a capotavola, con i suoi 11 figli attorno a lui”.
Durante le interviste, i giornalisti raccontano che Ulloa ride, ride tanto. Ma dietro quel sorriso c'è di più, c'è il dolore, la sofferenza, la mancanza. Ed è questo che motiva Leo ogni domenica, contro qualunque avversario. Anche lui, come suo nonno, circondato da altri dieci calciatori in campo, pronti a lasciargli il posto a capotavola.