Germania - Argentina, al Maracanà. C'è tutto nel menù mondiale. La storia europea, incarnata dalla Germania di Loew, pragmatica, com'è nella natura teutonica, bella, come richiede il Vecchio Continente. L'esuberanza sudamericana, impressa nell'Albiceleste di Sabella, la Nazionale di Leo Messi, il più forte giocatore del Mondo. Poi la location, lo stadio che più di ogni altro profuma di calcio, nel paese che più di ogni altro è innamorato del calcio.
Germania - Argentina è classica Mondiale. Finale, per la terza volta. Mai nella storia due squadre sono giunte di fronte per tre volte all'ultimo atto di una rassegna iridata. Maradona e la Coppa dell' '86, Brehme e il rigore di Italia '90. Quattro anni a dividere due storie diverse, due nazionali diverse. Il tempo ha affiancato due gruppi che la genesi aveva invece profondamente diviso. La Germania, mutata profondamente negli anni, si è avvicinata al credo calcistico dell'Argentina, mentre l'Argentina, “leggera”, ha acquisito la compattezza teutonica.
Le caratteristiche storiche della Germania riportano a una Nazionale figlia di concretezza e cinismo. Quella di Matthaus, Klinsmann, dei tedeschi d'Italia, ancor prima di Gerd Muller. Difficilmente piace la Germania, ma ha la prerogativa di non fallire mai. Discorso diverso per l'Argentina, quasi “farfallona” agli occhi dei più. Figlia negli anni novanta dell'inarrivabile talento del Diez. La mano di Dio, il gol più bello della storia del calcio. Un uomo solo a coinvolgere una Nazione intera. L'inversione di tendenza, iniziata negli anni 2000, ha portato i tedeschi a un modello nuovo. I campioni sono cresciuti in casa. Così è nata la generazione di Muller, Ozil, Reus, Draxler, Goetze. Ora la Germania si ritrova una nidiata di talenti incredibile, a cui somma la storica capacità di non sbagliare gli appuntamenti di riguardo. Ha aggiunto un tocco artistico, senza intaccare la compattezza strutturale.
Da Diego a Leo, da Maradona a Messi. C'è un qualcosa di sinistramente simile al passato nell'Argentina, un fuoriclasse, assoluto, a cui è chiesto di comandare un reggimento fino al successo. A 27 anni, quello brasiliano è il Mondiale di Messi. La gente aspetta Lionel. Un successo per affiancare Maradona, per dimostrare di saper vincere anche con la maglia dell'Albiceleste. La pressione è sovrumana e il Mondiale è rassegna complessa. Un girone straordinario, poi dagli ottavi, eccezion fatta per l'assist a Di Maria, poco Messi per le esose richieste. Resta la finale, La partita.
Il cammino – La Germania che ha frantumato il Brasile ha destato impressione. Rapidità, sicurezza, conoscenza del gioco. Il quesito è ovvio. Quanto incide l'arrendevolezza verdeoro nel successo tedesco? Quanto ha influito la complicità del Brasile nella goleada della Germania? Se si fa un passo indietro, l'undici di Loew era apparso ben meno prepotente. Prima gli ottavi, risolti ai supplementari, contro l'ordinata Algeria, poi i quarti con la Francia e i miracoli di Neuer. La rinascita è avvenuta con due cambi. Lahm, riportato a destra, ha dato stabilità alla difesa e Klose, puntello offensivo, ha fornito un prezioso riferimento alla manovra. Loew ha abbandonato i cardini del “guardiolismo”, il falso nueve, per ricreare una Germania più tradizionale e più efficace.
Discorso diverso per l'Argentina. Sabella ha iniziato il Mondiale con Aguero al fianco di Messi e Higuain. L'infortunio del Kun ha portato alla ribalta Lavezzi. Il Pocho, bravo a completare le due fasi, d'attacco e di copertura, ha aiutato maggiormente lo sviluppo del gioco. A complicare i piani lo stop
Probabili formazioni – Nessuna novità nella Germania. Difesa a quattro con i tre centrali, Hummels – Boateng – Howedes e Lahm, Schweinsteiger e Khedira in mediana, Kroos un passo avanti, con ai lati Ozil e Muller. Klose unica punta.
Nell'Argentina unico ballottaggio Perez – Di Maria. L'esperienza di Demichelis dietro, con l'interessante Rojo sulla corsia. Mascherano, leader spirituale, guida il centrocampo. Il tridente offensivo è il consueto. Messi battitore libero, senza vincoli di modulo.