All'Arena Joinville di Santa Catarina era in programma l’incontro valevole per l’ultima giornata del “brasileirao” tra Atletico Paranaense e Vasco da Gama con in palio obbiettivi importantissimi. I padroni di casa in lotta per la prossima Libertadores ed il Vasco per non retrocedere. Partita a forte rischio perché le due tifoserie sono acerrime rivali. La decisione, clamorosa, viene presa quando la sicurezza della partita viene affidata ad una azienda privata. Già fuori lo stadio di Rio de Janeiro si verificano i primi contatti tra le due tifoserie che si ripeteranno dentro lo stadio dopo neanche venti minuti dall’inizio dell’incontro. Il punteggio è di 1-0 per l’Atletico quando scoppia una maxi-rissa. Nell'impianto non ci sono forze dell'ordine, centinaia di tifosi iniziano a picchiarsi tra loro. L'arbitro sospende il match. 

Qui finisce la partita e nel settore “vuoto” dello stadio si assiste a scene di autentica guerriglia, tale è la violenza, con i giocatori che, increduli ed impauriti, si fermano ed assistono impotenti. Poi arrivano le forze dell’ordine che iniziano a sparare per aria solo per disperdere e non per colpire i tifosi, se così vogliamo chiamarli. Interviene l’esercito che atterra con un elicottero sul terreno di gioco per soccorrere i feriti e trasportarli in ospedale. Bilancio: quattro feriti di cui solo uno è ancora ricoverato ma per fortuna fuori pericolo. Dopo un’ora e dieci minuti di sospensione la partita riprende, perché in maniera cruenta “lo spettacolo” deve continuare anche contro la volontà delle stesse società. Finirà 5- 1 per l’Atletico Paranaense ed il Vasco per la seconda volta nella sua storia finisce in B.

Ma nessuno parlerà della partita, nessuno perderà tempo nel ricordare che per la prima volta nella storia del campionato di calcio brasiliano, due importanti squadre di Rio de Janeiro, il Vasco da Gama appunto e la Fluminense, finiscono contemporaneamente in serie B. Perché ancora una volta il risultato sportivo passa in secondo piano. Ma tutti continuano a preoccuparsi della terribile escalation di violenza che si sta verificando non solo nel calcio ma nella stessa società brasiliana. Il Ministero dello sport brasiliano, attraverso il suo presidente Aldo Rebelo, dopo aver condannato l’accaduto, ha chiesto ed ottenuto l’arresto dei responsabili. Anche la CBF, la Federazione brasiliana, ha promesso che agirà contro gli episodi selvaggi, ma che dovrà essere anche il governo brasiliano ed il presidente Dilma Rousseff ad occuparsene.

Solo quest'anno, 30 persone sono state uccise in seguito a scontri dentro gli stadi brasiliani. Che si aggiungono ai 234 morti dal 1984 ad oggi nel conteggio ufficiale. Tutta questa violenza è stata contrastata negli ultimi 30 anni con semplici squalifiche per tre o quattro partite del campo alle squadre coinvolte, nonostante tutti in Brasile continuano a sollevare il problema, dai tifosi ai giocatori. Come ha scritto Lance, il periodico sportivo più letto in Brasile, "Il problema non è la mancanza di leggi, ma la mancanza di impegno e rigore da parte delle autorità di far rispettare le leggi che esistono". La FIFA, dal canto suo, si difende dicendo che i Mondiali non sono stati imposti, ma sono stati richiesti dal Brasile e che quindi chi protesta, non dovrebbe usare il calcio per le proprie rivendicazioni. Ma comunque, per sicurezza, ha precisato che per il torneo sarà "sicurezza globale, pubblica e privata".

Tutti quindi si chiedono se il Brasile è pronto ed al tempo stesso se il calcio conta più dei problemi della gente. Già, perché il calcio ha bisogno di guardare al futuro ampliando il suo ruolo: da più grande forma di intrattenimento del mondo, a veicolo capace di plasmare valori, ispirare l’impegno sociale e creare modelli di business sostenibili. Invece, corre il rischio di essere usato per mascherare i problemi reali di un paese e di esporsi alle laceranti contraddizioni sociali; dove il football diventa metafora della vita, oro e fango, bene e male; dove dietro ad un dribbling, un gol, un gesto estetico, si potrebbero celare sentimenti di ribellione. Perché il calcio non è metafora della vita, ma è parte di essa.