Riassumere il calcio in un’immagine sola, ridurre centocinquant’anni delle sport più seguito del mondo in una sola foto, è un’impresa ardua. Se si chiedesse una cosa del genere forse a livello mondiale l’istantanea più gettonata sarebbe quella della finale del Mondiale del 1970, con Jairzinho di spalle che tiene in braccio Pelè dopo il primo dei quattro gol che abbatteranno la Nazionale italiana. La televisione nel nostro paese era ancora in bianco e nero, ma le foto dell’evento mostrano il numero 10 brasiliano avvolto nella casacca storica del suo paese: maglia gialla con bordi verdi, pantaloncini azzurri. Un abbinamento immortale, che racconta la storia di una Nazionale leggendaria, la più vincente di sempre. La divisa più celebre del mondo, semplice, senza fronzoli, con dei colori che in un’occhiata riportano alla mente le temibili squadre e i campioni che l’hanno vestita dal 1954 in poi, da Pelè a Vavà, da Garrincha a Zico, fino a Romario, Ronaldo e Ronaldinho.
Nell’era del calcio-marketing e della ricerca del brand vincente, forse non esiste simbolo riconoscibile a livello mondiale come quella maglia, non a caso insignita dai tradizionalisti del Times come la più bella di sempre. Eppure c’è chi ha voluto mettere mano anche a quell’abbinamento così semplice, con risultati spesso discutibili. Quando chiedi ad uno stilista di disegnare la nuova maglia del Brasile per il Mondiale o la Copa America è difficile frenare l’inventiva dell’artista, troppo protagonista o troppo innovatore per ridisegnare banalmente la casacca di Pelè in tutta quella magnifica semplicità. Vero, ma ciò non toglie che l’esito possa essere disastroso. Passino le seconde e terze maglie delle squadre di club, ormai tele vuote che stilisti e disegnatori possono riempire come meglio credono, senza pensare alla storia della squadra, ma solo alla vendibilità del prodotto. Ma quando c’è di mezzo la maglia verde-oro serve un po’ di rispetto per il lato sacro del calcio. Nella religione profana del pallone sarebbe un po’ come scolpire Budda palestrato, perchè oggi va così.
Eppure qualcuno l’ha fatto, specie all’ultima Copa America, dove il Brasile si è presentato con un’inspiegabile barretta verde sul petto e colletto e risvolti gialli, e in certe partite anche coi dei sacrileghi pantaloncini bianchi (purtroppo è successo anche in altre occasioni). Forse dopo l’esito disastroso della spedizione ci penseranno due volte prima di presentarsi con un kit del genere. Fece storcere il naso anche il numero di maglia cerchiato della Confederations Cup 2005 (vinta proprio dal Brasile), anche a causa di un ingombrante inserto sulle spalle. E non era il massimo neanche la maglia del Mondiale 2002, anche quello vinto, con linee e fantasie verdi sparse su tutto il corpo. Anche se quell’anno in fatto di eleganza il Brasile partiva decisamente indietro visti i capelli di Ronaldo.
E’ bello dunque rivedere che il Brasile nello storico Mondiale casalingo si presenterà con una divisa vecchio stile, prodotta dalla Nike, e svelata proprio oggi. Un tocco di modernità nel carattere del numero di maglia e poi tutto com’è sempre stato. Manca solo un dettaglio, come ha evidenziato il ct Felipe Scolari: la sesta stella. Ma a quella più che stilisti e marchi sportivi ci dovranno pensare Neymar, Dani Alves e compagni. Per ora gustiamoci i colori più belli che il calcio possa esprimere, quelli della fantasia di Pelè, Jairzinho e tutti gli altri.