Il giorno di Carletto. Ancelotti si presenta al Real, all'esigente popolo blanco. Stringe la mano a Zidane, l'uomo nella storia merengues e ora al fianco dell'italiano per completare la missione fallita da Mourinho. Riportare la massima competizione europea a Madrid. Conquistare la Decima. Uomo intelligente, visibilmente emozionato, bonario nello sguardo e nelle parole, Ancelotti. Conscio di aver coronato un sogno, di essere giunto lì, dove ogni entrenador vorrebbe essere “Sono felice di essere nel club più prestigioso del mondo. So benissimo dove sono e per questo sono molto felice. Ringrazio il presidente Florentino Perez e il direttore Zidane che hanno fatto di tutto per portarmi qui. Ma al tempo stesso ringrazio il Psg per l'avventura in Francia. Tutti sanno della Decima e io ho l'ambizione di vincerla qui. Non è un problema perché ogni anno un allenatore ha responsabilità del genere. E questa è una motivazione grande che può aiutarmi nel mio lavoro. Non so se sono nato per allenare il Real, so che è un sogno per me.”

 

 

Evita paragoni per così dire “speciali”, mandando parole di stima a Mourinho, ma calcando sul differente approccio al lavoro e sulle divergenze caratteriali col vate di Setubal “Non farò il manager come Mourinho. Io sono un allenatore. Non mi paragono a lui, posso solo dire che siamo diversi. Lo rispetto perché è un grande allenatore” Diversi. Come diverso sarà l'approccio coi calciatori. Casillas in primis. Lui la storia del Real e della Roja, il capo del partito avverso al portoghese, costretto alla panchina. Il simbolo della ribellione, condivisa da un'ampia frangia del Bernabeu. Ancelotti resta cauto, esalta Iker, San Iker da queste parti, ma non concede certezze a nessuno. “Non sono un pacificatore, non so che problemi ci siano stati tra i giocatori e Mourinho. Iker è un portiere fantastico. Ha vinto tutto ed è il capitano. La regola è che gioca chi merita di giocare.”

 

Le ovvie domande di mercato. Dai possibili arrivi di Isco e Cavani, sviati dal tecnico, alla permanenza di Kakà e Ronaldo. “Kakà? Lo conosco benissimo, spero di vederlo in allenamento. Poi vedremo cosa fare. Ronaldo è un giocatore fantastico, meraviglioso. Sono onorato di poterlo allenare, come lo è stato allenare Zidane e tutti gli altri campioni come Ronaldinho.” Bocciato invece il progetto Pirlo alla Modric “Modric è più dinamico e meno regista. Secondo me ha bisogno di giocare in tutte le parti del campo. Pirlo ha una posizione più definita.”

 

Il duello con la perfetta macchina blaugrana, arricchita dal gioiello Neymar. “Il Barcellona è una squadra molto competitiva, la più competitiva in Spagna. Ma penso che si possa sfidarli bene, sarà meraviglioso giocare contro di loro. Non penso che il Real abbia qualcosa in meno. Io sono molto fiducioso.”

 

Il calcio del nuovo corso sarà molto diverso da quello dell'era Mourinho, fatto di strappi e improvvise accelerazioni. Dal calcio “brutale” di Josè a quello in un certo senso “ballato” di Carletto. Giocare bene, come ha sottolineato il tecnico in conferenza, qui è più importante che da altre parti. La logica del vincere a tutti i costi, aldilà del bene e del male, non ha cittadinanza al Bernabeu. In un teatro come questo l'estetica conta al di sopra di tutto. Spettacolo, la parola d'ordine. Stropicciarsi gli occhi, dopo anni di liti, confusione e miseri trofei. Parte la nuova era. L'era del normalizzatore Ancelotti. Il pacato pronto a conquistare lo stadio che mette paura solo a guardarlo. Lui per sconfiggere il miedo escenico che colpisce avversari e non al contatto con una realtà così gigantesca. Lui, uomo di provincia, conoscitore di calcio, capace di rispettare limiti e tradizioni, di non fallire per eccessivo ego, provando a oltrepassare la storia, a oltrepassare la camiseta blanca. Prima il Madrid poi tutto il resto. Ancelotti lo sa. Buona fortuna Carletto.