C'è chi considera Mourinho, tecnico uscente del Real Madrid e nuovo allenatore del Chelsea, come un genio. C'è chi invece lo ritiene un uomo incapace di umiltà, un vincente antipatico, oppure uno stratega della comunicazione. In rete si sprecano gli aggettivi che lo qualificano, ma resta sempre un comun denominatore: Mourinho è costantemente al centro dell'attenzione dei media. Che si tratti di un gesto plateale, di una battuta di sarcasmo, di una frase sprezzante o di un aggressione verbale verso l'avversario di turno, poco importa. Lui sta sempre lì, al centro della scena e lo fa con autorità ed autorevolezza, con dimestichezza, scaltrezza, superbia e classe.
Termini quasi contraddittori all'apparenza, ma che in realtà delineano le caratteristiche di un uomo che utilizza la comunicazione come arma letale, soprattutto per chi deve averlo come avversario. Un uomo che vince e che sa come ottenere dal suo gruppo la migliore performance, ma che è anche capace di comprendere prima di chiunque altro, quando la sua carica ed il suo carisma non sono più a servizio della squadra, magari rischiando di diventare deleterio per sé stesso e per i suoi ragazzi. É un manager della motivazione, un uomo che sa leggere tra le righe utilizzando come motore una dialettica tagliente. Appunto, la provocazione.
Ma perché Mourinho utilizza questa forma di comunicazione? Soltanto per egocentrismo? Oppure esistono dei motivi psicologici chiari e ben controllati e guidati che portano Mourinho ad utilizzare queste forme verbali e non verbali (parole, gestualità etc..)? La risposta è che Mourinho sa bene che a livelli competitivi altissimi i calciatori non hanno necessità di avere un allenatore che insegni loro a giocare a calcio o a muoversi in campo, ma hanno bisogno invece di un coordinatore, di un leader in grado di convogliare verso un obiettivo unico interessi molteplici di calciatori che fanno del successo personale, molto spesso, uno degli obiettivi professionali principali.
La provocazione è un'arma duplice, in grado da un lato di attaccare il mondo esterno e l'avversario (uno qualsiasi) per gettare l'attenzione dei media distante dal gruppo, il suo gruppo. Un parafulmine, in poche parole. Dall'altro una strategia vincente per punzecchiare a suon di sferzanti battute calciatori dal rendimento mediocre, calciatori di cui lui conosce la psicologia e verso i quali sa in che modo dirigere la motivazione.
Già. la motivazione. Chi ha bisogno di motivazione estrinseca infatti (di fattori esterni che stimolino la sua azione e performance) può avere la necessità della sferzata, della battuta sarcastica, del pubblico ludibrio da cui difendersi. Chi invece ha motivazione intrinseca (propria, originata dai propri obiettivi personali indipendentemente da rinforzi esterni) potrebbe invece vivere momenti in cui ha bisogno di isolarsi dall'esterno per ritrovare concentrazione. Ecco allora che scatta la provocazione verso il mondo, verso il rivale di sempre.
Modi di orientare l'attenzione dove conviene di più. Non a lui, ma al gruppo. Josè Mourinho sa cosa fare. E questo, in genere, è l'arma dei grandi allenatori. Coloro che, per usare un'espressione abusata ma chiara, sanno allenare benissimo i media a proprio beneficio, prima ancora della propria squadra.
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