Quattro Coppe dei Campioni in bacheca fanno la loro bella figura, non c'è che dire. Ma pensare che le ultime due (contro l'Inter nel 2010 e contro il Chelsea nel 2012) sono sfuggite ad un passo dal traguardo, e che ben 5 in totale sono sfumate in finale, farà sicuramente aggrovigliare qualcosa nello stomaco agli uomini del Bayern Monaco. Soprattutto se un'ulteriore sconfitta in finale consegnerebbe ai roten il poco invidiabile primato di squadra più perdente della storia nelle finali di Champions, titolo amaramente detenuto per ora a pari merito con Juventus e Benfica.

I 25 punti di vantaggio con cui gli uomini di Heynckes hanno polverizzato la Bundesliga quest'anno contano poco. Soprattutto guardando la casella dei pareggi: 4 in 34 match, due dei quali ottenuti contro il Borussia Dortmund. L'altra metà del prato di Wembley. La squadra contro cui il Bayern non vince in campionato da 6 turni e che nella finale di Coppa di Germania 2012, a Berlino, ha strapazzato l'armata bavarese con un roboante 5-2.

Heynckes proverà ad esorcizzare gli spettri della disfatta aggrappandosi agli ultimi due scontri secchi prima della finale di sabato sera. Ad inizio stagione la Supercoppa tedesca finì infatti a Monaco con un sofferto 2-1, maturato grazie all'avvio lampo del Bayern firmato Mandzukic (6') e Muller (11'), ma reso sofferto dal gol nella ripresa di Lewandowski. Il 27 febbraio 2013, invece, ancora Coppa di Germania. Bayern Monaco-Borussia Dortmund 1-0, decisa al 43' da un gioiello col sinistro di Arjen Robben. Una conclusione a rientrare dal limite dell'area che strappò un sorriso di stupore persino al tecnico avversario Jurgen Klopp.

Ma la Champions è un'altra storia. Lo sa il Bayern, ed ha provato a mescolare le carte sin da quando la finale tutta teutonica era lontana 180 minuti. Mario Goetze strappato ai nerogialli alla vigilia del match contro il Real Madrid. Un sasso nello stagno, per allargare i cerchi concentrici della tensione. Non è bastato, nonostante il tentativo di remountada in salsa di Setùbal. A Wembley Goetze, infortunato, non ci sarà. Un bene per il Bayern, un male per lo spettacolo.

Ai campioni di Germania verrà chiesta la cosa più facile e allo stesso tempo più difficile: confermare quello che hanno fatto nella strepitosa stagione 2013. Confermarsi dal punto di vista organizzativo, continuando a far girare palla con la stessa sapienza e la metodicità che hanno letteralmente messo alle corde i maestri catalani del tiki-taka; confermarsi dal punto di vista realizzativo, per non tradire le aspettative che le straordinarie cifre di 98 gol in campionato (in 34 partite) e 29 in Champions (in 12 incontri) hanno lecitamente autorizzato; confermarsi dal punto di vista atletico, vera arma della compagine di Monaco di Baviera, che è stata la vera e propria chiave di volta della fase finale della competizione europea. Non si è mai vista negli ultimi anni una squadra che corresse come il Bayern di Heynckes a questo punto della stagione.

Ma essere se stessi potrebbe non bastare ai roten. Una chiave di lettura di grande interesse potrebbero essere le parole di Klopp seguite proprio alla sconfitta del Borussia a febbraio: «Ci hanno copiato. Hanno fatto le stesse cose che facciamo noi, come i cinesi». Solidità e rigorosa applicazione tattica, unita al simil-calcio totale del tecnico di Stoccarda. Il Borussia dalle ripartenze supersoniche soffre a sua volta chi decide di attaccare allo stesso modo.
Suggestiva anche l'analisi fisio-morfologica delle due finaliste compiuta da Sandro Modeo sul "Corriere della Sera". Ricordando come la statura media dei calciatori europei sia di 181,7 cm, a un primo sguardo c'è quasi perfetta uguaglianza tra Bayern e Borussia: 184,2 cm contro 184,5 (il Barça, per intenderci, è a 176,8). Ma se l'equivalenza è confermata dalla media del reparto difensivo, vi è un netto discrimine dalla metà campo in su. Il Bayern ha molti giocatori imponenti (Javi Martinez e Luiz Gustavo, Mandzukic, Müller e Gomez) e il Dortmund presenta molti giocatori medio-bassi (Blaszczykowski e Gundogan, Reus e Sahin, Götze.
Ciò spiega anche le rispettive attitudini di gioco: il Bayern delega l'accelerazione e spesso anche la finalizzazione sulle fasce (Ribery e Robben), mentre il Borussia riesce a fare gioco palla a terra nella zona nevralgica, per poi innescare il terminale offensivo Lewandowski che è un longilineo atipico per mobilità e palleggio. Tutto questo per ricordare che Heynckes non deve e non può trascurare nessun aspetto della partita di Wembley. Nè i propri, nè quelli degli avversari. Se il Bayern la butta sulla forza bruta, rischia di diventare una pallina nel flipper nero-giallo. Se prova a giocare esclusivamente sul terreno avversario, rischia di snaturarsi e cedere il fianco inesorabilmente. Tanti calcoli, o nessun calcolo. Il dilemma di tutte le finali di Champions League.