L'appassionante stagione dei Boston Celtics si è conclusa domenica scorsa, in gara-7 della Finale della Eastern Conference. I biancoverdi sono stati battuti ancora una volta da LeBron James, divenuto un vero e proprio incubo per il pubblico del TD Garden, e dai suoi Cleveland Cavaliers, ma hanno conquistato tifosi e critica per il loro gioco organizzato sui due lati del campo, che ha saputo sopperire ad assenze pesantissime. Mai come in questo caso, la stagione dei Celtics è stata infinita, tra infortuni e adattamenti, al punto che risulta difficile ricordare quante cose siano accadute a Boston in un anno di NBA. Proviamo a riassumerle insieme:
- Gordon Hayward, trauma iniziale. Il fiore all'occhiello della offseason di Danny Ainge - insieme alla trade riguardante Irving - non ha potuto dimostrare il suo valore, nè la sua capacità di integrarsi nel sistema di Brad Stevens, suo allenatore anche ai tempi di Butler University. Pochi minuti nell'opening night a Cleveland, poi un terribile infortunio lo ha tenuto fuori per l'intera stagione. Non sapremo mai cosa sarebbero stati i Celtics con Hayward: l'augurio è che l'ex giocatore degli Utah Jazz possa tornare quello di prima.
- I giovani e la difesa. Perso Hayward, Brad Stevens, coach che non ama trovare alibi, ha costruito una squadra imperniata su una fantastica solidità difensiva, con Al Horford uomo chiave nel reparto lunghi, fondamentale anche in attacco, e con due giovani titolari: il sophomore Jaylen Brown e il rookie Jayson Tatum. Brown ha mostrato miglioramenti importanti, se si considera che la scorsa stagione era sembrato solo un potenziale specialista difensivo, mentre ha giocato su livelli d'élite Tatum, prodotto da Duke. Intelligenza cestistica fuori dal comune, atletismo spiccato, capacità di giocare sempre sotto controllo, tiro in sospensione (anche da tre) migliore delle attese: il numero zero dei biancoverdi non è stato una normale matricola, e nemmeno un progetto di superstar. Ha fatto il fenomeno dall'inizio alla fine.
- Kyrie Irving, la novità e lo stop. L'altra novità dei Celtics di questa stagione è stata ovviamente rappresenta da Kyrie Irving, giunto in estate via trade proprio dai Cleveland Cavaliers. Irving non ha solo confermato di essere una fantastica point guard, forse la migliore quanto a ball handling dell'intera lega, ma si è anche calato nei panni del leader, mostrando un approccio difensivo mai visto in passato. La Boston di Irving è stata a lungo, record alla mano, tra le prime tre squadre dell'NBA, poi è calata nel finale di regular season, in coincidenza con l'intervento chirurgico al ginocchio che ha costretto Kyrie a guardare gli ultimi due mesi e mezzo di stagione.
- Il supporting cast. Considerato fuori categoria Jayson Tatum, detto di Brown e dell'imprescindibilità di Al Horford (facilitatore in attacco), i Celtics hanno scoperto risorse inattese. Da Terry Rozier, difensore diventato anche realizzatore, ad Aron Baynes, lungo australiano cresciuto nel sistema difensivo di Stevens, passando per Daniel Theis, tedesco k.o. a marzo, Marcus Morris, rigenerato dopo i primi anni NBA, e Marcus Smart. Proprio Smart rappresenta uno dei punti interrogativi del futuro dei Celtics: trattatore di palla ma non grande passatore, di certo non tiratore, su un campo da basket fa tutto ciò che serve. E' in scadenza, e su di lui Danny Ainge dovrà fare una scelta. Il suo futuro dirà molto della direzione tecnica che prenderà la prossima Boston.
- Brad Stevens, il mago. Senza cadere in facili entusiasmi, è innegabile che coach Brad Stevens sia stato l'uomo in più dei Celtics di quest'anno, come ammesso dagli stessi giocatori. Le sue famose rimesse in situazioni scomode sono solo la punta dell'iceberg della preparazione di questo giovane allenatore, che ha condotto fino alla Finale di Conference una squadra che in tanti davano già fuori al primo turno contro Milwaukee. Stevens è la miglior garanzia per il futuro dei biancoverdi, che non vedono l'ora di ricominciare, con Irving e Hayward, ma anche con qualche mossa di Danny Ainge, tra trade e free agency.