Attoniti, irrigiditi, disperati. Quando l'impensabile diventa tragicamente possibile, sfociando nella realtà, l'unica reazione umana non può che essere solo illogica, praticamente impossibile da metabolizzare. E' una di quelle notizie lì, quelle che squarciano devastando anche il contorno. E' una di quelle notizie lì, quei momenti bui che svuotano l'anima dei giovani sognatori. E' una di quelle bastarde lame del destino, quelle che fanno male a prescindere da tutto e da tutti. E' un brivido di freddo che stende i ricordi, come se questi fossero flashback eterni da scavalcare. E' un silenzio assordante, è un vuoto cosmico inspiegabile. E' un mostro atroce che sta divorando tutto. E' un incubo, come se la realtà fosse diventata la più cruda e spaventosa paralisi nel sonno.

Il freddo pungente di fine gennaio devasta l'arena, travolta da un silenzio assordante e da vuoto sinistro, talmente strano da far pensare che tutto ciò sia, inevitabilmente, una realtà parallela. Gli spalti vuoti, le luci soffuse mentre al centro del parquet la maestosità di un uomo si leva a semi-Dio, dall'alto della sua magnificenza umana e sportiva. E' un terzo tempo che non ha ritorno, è un terzo tempo che non contempla quella gravità che da sempre ha contraddistinto le gesta di quel giovane ragazzo con il calzettoni asimmetrici ed un sogno custodito in un cassetto di dimensioni abnormi. Quel giovane ragazzo ed il suo sogno italo-americano.

E' da quel minuscolo pezzettino di speranza che nasce la gloria, quella ottenuta con il sangue, con le cadute e con una dedizione al lavoro ineguagliabile ed irraggiungibile per qualsiasi essere umano calamitato qui. Perché solo Kobe poteva essere Kobe, nel sottile strato di aria rarefatta dove abitano solo i più grandi, quelli con una capacità innaturale di assimilare ogni singola informazione per migliorare costantemente, per diventare onnipotenti. Perché Kobe ha conquistato la sua magnificenza scavando a mani nude oltre il talento, ponendosi obiettivi all'apparenza irrealizzabili, scalando le vette come se queste fossero compagne di una gara di schiacciate.

Kobe è stato, Kobe è e Kobe sarà. Nell'immaginario collettivo di ogni singolo appassionato e non sarà il centro di gravità perfetto, l'aura inspiegabile e quella luce dirompente e riconoscibile da ogni singolo angolo del Pianeta. Perché, alla fine, la grandezza di uomo si misura nella capacità di essere tale in ogni momento, negli spazi angusti dell'esistenza e nella libertà di essere ossessionati, in positivo. E' tutto scritto nei flashback, in quelle piccole istantanee che hanno reso grande il mondo del basket e, più in generale, quello dello sport. Perché è di questo che stiamo parlando, di uomo che è andato oltre il gioco stesso, oltre la concezione di agonismo e pathos sportivo, oltre il momento e oltre le vittorie. Oltre la gloria. Stiamo parlando di qualcosa di transgenerazionale, che non tornerà più.

E' tutto legato indissolubilmente al suo nome, a ciò che ha creato, quello che sta accadendo in questo momento in tutto il mondo. E' la sua generazione di folli sognatori, quella per cui la realtà ed i limiti non sono mai stati abbastanza, così come i duri allenamenti alle 3 del mattino. Non esiste un tempo, esiste il tempo. Quello per cui vale la pena lottare e sacrificare ogni cosa, distaccarsi dalla realtà per tornarci da Re, da entità divina in grado di superare il caos stesso. Kobe è stato il sogno di ogni singolo bambino degli anni '90, come MJ per lui. La spasmodica ricerca dell'oltre, di quell'orizzonte da sconfinare con la potenza ed impossibile da placare con la semplice razionalità. Quell'onda d'urto impossibile da fermare, coinvolgente e appassionante anche agli occhi di uno sconosciuto. Ma ora tutto passa in secondo piano. Perché adesso nulla sarà più come prima.

Perché l'arena si sta pian piano svuotando ma, allo stesso tempo, campeggiano ricordi ovunque. Perché gli anelli sono più splendenti che mai. Perché non ci sarebbe nulla da dire ma, allo stesso tempo, bisognerebbe scrivere tutto e raccontare tutto per una vita, almeno. Perché è come se tutti avessero perso qualcosa, una fetta di passato che i ricordi non cancelleranno. Perché c'è una triste confusione che aleggia nell'aria, è una tristezza universale che unisce destini e ricordi fondendo passato e presente di quegli adolescenti che oggi sono uomini. Eh si Kobe, piangono per te e per la tua Gigi, promessa del basket e così simile a te. Così straziante e così reale. 

Perché è tutto così strano, surreale e devastante. E' un salto collettivo senza ritorno, senza gravità. 
Perché il simbolo dell'infinito incastrato nel 24 sarà per sempre la sua firma, tutto marchiato a fuoco nel giallo eterno.

Perché nessuno sarà mai come il Black Mamba, ciao Kobe. 

 

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