"This is just the beginning". Musica e parole di Donovan Mitchell, sorpresa assoluta della stagione degli Utah Jazz che, al termine dell'annata culminata con l'eliminazione nella semifinale della Eastern Conference per mano degli Houston Rockets ha parlato ai microfoni del sito ufficiale della franchigia per stilare un bilancio di quanto fatto. Esito che non può che essere assolutamente positivo quello della squadra guidata da Quin Snyder, autentica sorpresa della seconda metà della Regular Season e, altresì, dei playoffs: dopo una partenza in sordina, anzi, decisamente negativa, nella quale il nuovo roster ha dovuto avere tempo e pazienza per amalgamarsi e comprendere i dettami tecnici e tattici del tecnico, la risalita e le conferme, arrivate dal successo sugli Okalohma City Thunder nel primo turno di Playoffs.
Una conferma, quella dei Jazz, partita da lontano e che ha poggiato le basi sulle solide idee di gioco di coach Snyder il quale, fatta di necessità virtù dopo le partenze di Gordon Hayward direzione Boston e George Hill a Sacramento, ha dovuto resettare il suo sistema ridisegnandolo attorno alle caratteristiche tecniche di Ricky Rubio e, soprattutto, di Donovan Mitchell. Ad inizio stagione l'ago della bilancia si pensava potesse diventare, dopo stagioni di alti e bassi, Rudy Gobert, la cui annata resta sì positiva ma non esaltante. Accanto al centro transalpino ha vissuto una stagione tutto sommato positiva anche Derrick Favors, ritrovatosi dopo un paio di lune storte. Le conferme sono arrivate sul perimetro da chi, come Joe Ingles, Alek Burks e Jae Crowder, doveva apportare solidità e quadra al sistema di coach Snyder, inserendosi come alternative offensive alle prime scelte e, come nel caso dell'ala ex Boston, di fondamentale importanza nelle rotazioni difensive.
Dopo aver rifinito l'organico a metà stagione, Utah ha trovato la quadra del cerchio definitiva, con Snyder che ha affidato le chiavi tattiche e tecniche della squadra in mano a Ricky Rubio, la cui crescita - agevolata dall'inserimento in un sistema di gioco creato a sua immagine e somiglianza - è andata di pari passo alla sua affermazione, definitiva a questi livelli. La parabola ascendente del playmaker spagnolo non è stata tuttavia l'unica degna di essere rimarcata, in quanto a braccetto con quella dell'iberico, miglioratosi anche al tiro - tallone d'Achille da sempre dell'ex Timberwolves - a Salt Lake City hanno assistito alla nascita di una stella: Donovan Mitchell, entrato in punta di piedi nella Lega, si è pian piano preso in mano la squadra, nonostante al primo anno tra i Pro, e l'ha trascinata a suon di ventelli ai playoffs.
Mentalità vincente, fame di successi ed ossessione per il gioco, oltre che qualità individuali, fanno di Mitchell quanto di più simile visto sui parquet NBA dall'ingresso nella NBA di Kobe Bryant e, nonostante lo scomodo paragone, la guardia classe 1996 uscita da Louisville sembra pronto a raccoglierne l'eredità. La dimostrazione ultima si è avuta in gara-5 delle semifinali playoffs contro gli Houston Rockets, quando davanti all'oggettiva impossibilità dell'impresa contro Paul e compagni, la sua striscia di 22 punti quasi consecutivi ha riportato in partita Utah prima del quarto finale dominato da CP3. Una manifestazione di onnipotenza alla quale la difesa di una delle squadre candidate al titolo finale non ha potuto far nulla, se non ammirare estasiata quanto stesse accadendo. Ed è soltanto l'inizio, come ha sottolineato il protagonista in causa.
Già, l'inizio, perché accanto a Mitchell è cresciuto esponenzialmente anche Royce O'Neale, altra macchietta pescata al Draft che nelle prossime annate tornerà sicuramente utile a coach Snyder. Adesso la programmazione per il futuro continua e, dopo essere ripartiti da zero in questa annata ed essersi ritrovati con una base decisamente consistente in vista del futuro, i Jazz hanno la necessità di completare il processo di crescita attraverso l'arrivo di una stella che possa far fare alla squadra il definitivo salto di qualità. Una stella funzionale al sistema di Snyder, che possa essere in grado di inserirsi in fretta e portare la squadra a lottare - contestualmente con la conferma del roster attuale e della definitiva maturazione dei giovani - per qualcosa di più di una semifinale di Conference.