La faccia è di quelle giuste. L'atteggiamento pure. Il body language è quello delle sere importanti. Che il vento fosse cambiato, o che stesse cambiando repentinamente, lo si era capito nelle nottate precedenti, ma l'appuntamento del TD Garden era troppo importante per LeBron James e per i suoi nuovi Cleveland Cavaliers. C'era da mandare un messaggio, al resto della concorrenza, di presenza, di spirito. Missiva spedita, con forza, veemenza, straripante personalità, abbacinante superiorità. Il Re indica la strada, si mette in proprio nel secondo quarto, prima di contribuire all'inserimento nel nuovo contesto degli adepti dell'ultima ora: un assist a Hood, un paio a Clarkson, triple a profusione; il sorriso, il cinque, il chest to chest. I Cavs sono tornati.
Partiamo da un presupposto di fondamentale importanza. Nel valutare la vittoria netta, schiacciante, dominante dei Cleveland Cavaliers sul campo dei Boston Celtics non si può non inquadrare in primis il momento di forma di quelli che dovrebbero essere i diretti contendenti per il trono della Eastern Conference. La versione vista ieri sera della squadra di Brad Stevens è quella che, dal post Londra e Global Games, continua ad andare su e giù in termini di prestazioni e risultati, condizione dovuta verosimilmente ad un esaurimento prematuro della benzina nel carburante delle gambe dei protagonisti in causa. Fisiologico, chiaramente, dopo le prime cinquanta gare stagionali, soprattutto per una squadra che di fatto sta ruotando da inizio stagione in otto. Fatta la doverosa premessa per contestualizzare il successo di LeBron James e compagni, è tempo di passare all’argomento centrale della questione, all'analisi della vittoria.
I nuovi Cleveland Cavaliers vincono, convincono e, in parte, sorprendono. Già, in parte. Perché la sensazione che ci fosse qualcosa nello spogliatoio che non andasse nella versione precedente e che abbia fatto incrinare rapporti tra i protagonisti e condizionato oltremodo le prestazioni in campo della squadra era evidente qualche giorno fa, ed è stato confermato di fatto da quanto visto in campo al TD Garden nella serata di ieri. In primis, ciò che ha colpito maggiormente, è l’atteggiamento rilassato e fin troppo sereno con il quale i Cavs sono scesi in campo. Conseguenza naturale di questo mood è stato l’approccio alla gara degli stessi ragazzi di coach Lue, visibilmente pimpanti e reattivi dal punto di vista fisico oltre che mentale, in attacco ma soprattutto in difesa. Come un interruttore che sia scattato nelle menti dei pretoriani, su tutti di un JR Smith a dir poco tarantolato, Cleveland ha tenuto testa al primo quarto sontuoso di Irving e compagni, rispondendo pan per focaccia alle folate dei Celtics.
Da lì in poi, la sensazione di controllo assoluto sulla gara. Nonostante l’acciacco che ha tolto dai giochi James per qualche minuto, i Cavaliers hanno saputo dimostrare una superiorità fisica prima ancora che tecnica alla quale Boston non ha saputo trovare le giuste contromisure. Cleveland ha fatto assaggiare i muscoli difensivamente alla squadra di Stevens, incapace a trovare fluidità e iniziative in attacco che non fossero portate da Irving o dall’esuberanza di Rozier. Troppo poco per infastidire i Cavs, questi nuovi Cavaliers che hanno immediatamente trovato ritmo ed entusiasmo in attacco, con e senza James, appoggiandosi sulle iniziative palla in mano di Clarkson nel secondo quintetto e sui tiri di Hood dal perimetro. Anche nella metà campo difensiva l’atteggiamento, il piglio mentale, sembra essere del tutto nuovo: aiuti e sacrificio, a partire da George Hill per finire ad un sorprendente JR Smith, abulico e passivo fino a ieri sera. Tutto troppo bello per essere vero. Chiaramente l’energia e l’adrenalina della prima gara con la nuova maglia ha un attimo ingigantito il tutto, ma l’alchimia vista sul parquet del Garden lascia ben sperare i tifosi della Quicken Loans Arena.
“Non abbiamo molto tempo a disposizione per provare i movimenti nel dettaglio - ha detto coach Lue a fine gara, visibilmente soddisfatto. Abbiamo avuto un solo allenamento ieri per provare il giusto. Quindi abbiamo fatto le cose più semplici possibili, qualche schema generico e nient’altro che mettere in campo la voglia di giocare assieme, di competere e di muovere la palla. Abbiamo giocato duro e siamo riusciti a dimostrare ciò che volevamo”.
Sia con il quintetto titolare, infatti, che con le seconde linee, la squadra di Lue ha dimostrato coesione ed equilibrio, solidità e cinismo, quelle delle grandi squadre. La percezione, di primo acchito, è quella che la superiorità dei Cavs non si sia limitata ad una sola gara, quella di ieri sera, ma che con il passare del tempo e degli allenamenti in gruppo, quest’ultima possa soltanto crescere a dismisura. Il tutto rapportato chiaramente solo ed esclusivamente al microcosmo della Eastern Conference, dove sì i Celtics ed i Raptors dettano legge – per il momento – ma dove il padrone, unico ed assoluto, sembra assumere sempre le stesse sembianze: quelle del numero 23 dei Cleveland Cavaliers, di LeBron James.