"Significa soltanto che ho avuto la fortuna di ereditare una squadra fortissima. Un insieme di giocatori talentuosissimi".

Poche parole, ma sempre significative, mai banali. Una battuta, come da prassi. Il ghigno, di chi in cuor suo, è conscio dell'impresa fatta ma che mette davanti a sé ed alla propria figura sempre il lavoro di squadra, del gruppo, degli interpreti che scendono in campo. Nel dietro le quinte della Oracle Arena, dopo aver scritto un'indelebile pagina di storia degli sport statunitensi, Steve Kerr prova anche stavolta a togliersi dalle luci della ribalta. La storia è stata scritta stanotte. L'ex guardia dei Chicago Bulls diventa, grazie al successo dei suoi Golden State Warriors sui San Antonio Spurs, il più giovane allenatore a tagliare il traguardo delle 250 vittorie da professionista. Il tutto dopo tre anni e mezzo in panchina e 302 gare giocate. Imbarazzante. 

Nella notte del record di Kerr una clamorosa prova corale dei suoi, i quali hanno travolto la squadra di Popovich sfruttando la maggiore freschezza atletica ed una maggiore intensità nelle due metà campo. Come detto Kerr diventa il più giovane allenatore della storia degli sport professionistici statunitensi a tagliare questo prestigioso traguardo, superando tra gli altri anche Phil Jackson (346 partite), suo mentore ed allenatore all'epoca dei titoli dei Chicago Bulls di Jordan.

Un record a dir poco prestigioso, festeggiato ed omaggiato dai suoi giocatori che al termine della gara gli hanno ovviamente reso omaggio. Queste le parole di Draymond Green: "Chiaramente ha avuto bisogno di ottimi giocatori come noi. Sto scherzando. E' ovviamente incredibile ciò che ha fatto, soprattutto perché non ha mai avuto nessuna esperienza da allenatore prima di questo e ciò gratifica ulteriormente questo traguardo. Credo che la continuità che abbia dato all'organizzazione sia non solo in termini di pallacanestro giocata, ma anche in quanto a cultura cestistica, fuori dal campo. Ha fatto la differenza, ed è quella differenza che ci permette di arrivare ai successi che abbiamo avuto".  

Non poteva mancare anche il commento di Stephen Curry, cresciuto esponenzialmente anche alla gestione Kerr: "Ovviamente ha fatto la scelta della sua vita venendo ad allenare noi. Veniva dalla televisione e quando è arrivato ha pensato subito a migliorare il sistema i gioco e le prospettive della società, facendoci diventare a tutti gli effetti una franchigia in grado di lottare per il campionato e non solo una squadra da playoff come gli anni precedenti. Farlo soprattutto in tre anni e mezzo, beh, è clamoroso". 

Decisamente più laconico e meno passionale il commento di Gregg Popovich a riguardo: "Non mi importa molto, come credo importi poco anche a lui". It's Pop.