Che i Los Angeles Clippers potessero cambiare pelle nel corso dell'inverno, prima della trade deadline del prossimo 8 febbraio, era evenienza messa in conto da diversi addetti ai lavori NBA. Ma che potessero farlo usando come pedina di scambio il loro uomo franchigia, Blake Griffin, fresco di rinnovo di contratto estivo, non era nelle previsioni. Eppure lo scenario si è modificato in maniera repentina: da ieri notte Griffin è infatti un giocatore dei Detroit Pistons, spedito in Michigan (insieme ai compagni Willie Reed e Brice Johnson) in cambio di Tobias Harris, Avery Bradley, Boban Marjanovic e di due scelte ai prossimi Draft (prima scelta, top 4 protetta nel 2018, seconda nel 2019). 

Questione salariale

Per comprendere meglio i motivi della trade, quantomeno dal lato Clippers, è impossibile scindere l'aspetto sportivo da quello salariale. La franchigia di proprietà di Steve Ballmer ha perso la scorsa estate Chris Paul: da contender per il titolo si è trasformata in squadra che lotta per uno degli ultimi posti playoffs ad Ovest, con Griffin nuovo leader. Il contratto di Blake, firmato a luglio 2017, è un quinquennale da 171 milioni di dollari complessivi (da 29 a salire, fino ai quasi 39 del 2020-2021, anno in cui il giocatore avrà una player option a sua disposizione). Salutando Griffin, i Clips si liberano di un contratto monstre, che avrebbe azzoppato per il futuro le possibilità di acquisire free agent di primissimo piano. Ora i californiani si accollano gli ingaggi di Avery Bradley (8.8 milioni, ma free agent a fine stagione) e di Tobias Harris (16 milioni per l'anno in corso, ovviamente detratto quanto già sborsato dai Pistons, 14.8 per la prossima annata: dal 2019 sarà free agent). Impatta meno l'arrivo del centro serbo Boban Marjanovic (ingaggio da 7 milioni per questa stagione, poi free agent). Chiaro l'intento dei Clippers: strutturare il loro salary cap in maniera flessibile, a differenza di ciò che era accaduto negli ultimi anni e confermato la scorsa estate con il rinnovo di Griffin, all'epoca definito "a vita". I Clips sembrano intenzionati a "liberarsi" anche di Lou Williams (31 anni, 7 milioni fino a giugno) e soprattutto di DeAndre Jordan (29 anni, che tra pochi mesi avrà a disposizione una player option di 24.1 milioni), oltre che dello stesso Bradley, in scadenza in estate.

Aspetto sportivo

La nuova direzione intrapresa dalla fu Lob City sembra frutto della mano di Jerry West, nuovo consulente di Lawrence Frank, presidente della franchigia. Inutile mantenere a Los Angeles un giocatore che non può farti vincere da solo e che ti riduce in maniera considerevole i margini di manovra dal punto di vista salariale. Meglio spedirlo altrove, acquisendo una power forward più giovane come Tobias Harris e un giocatore solido come Avery Bradley, peraltro in scadenza di contratto (in questo scenario Marjanovic sembra solo elemento di complemento). Evitando così di galleggiare nella mediocrità, ma ipotecando il futuro, scommettendo sulle scelte dei Pistons e sulla capacità di attrarre free agents di prima fascia per tornare il prima possibile a competere per il titolo. Questo il ragionamento del frontoffice dei Clippers, che spiega perfettamente anche perchè DeAndre Jordan sia sostanzialmente un separato in casa. Fonti NBA raccontano che per Griffin non ci fossero grandi offerte. Al di là dell'età, 28 anni, il giocatore non viene considerato uno che sposta nella pallacanestro contemporeanea. Non è un intimidatore al ferro, ha bisogno di un altro lungo al suo fianco, e solo recentemente ha messo in faretra l'arma del tiro da tre punti. Via dunque una garanzia (doppia doppia ambulante, anche ottimo passatore) che però non ti avvicina al titolo, per la speranza di ricostruire con giovani del Draft e soprattutto con free agents, per i quali da quest'estate ci sarà lo spazio salariale necessario. La vera domanda riguarda però la reale capacità di questi Clippers di attrarre giocatori in scadenza: attualmente la sponda Clips di Los Angeles non sembra però in grado di prospettare orizzonti di gloria ai vari LeBron James, Paul George e compagnia. In estate ne sapremo di più.

Fronte Pistons 

Il lato Pistons della trade è più facilmente comprensibile. Squadra che fatica a riempire il nuovo palazzetto, la Little Caesar's Arena, al momento fuori dalle migliori otto a Est, che galleggia in una mediocrità senza sbocchi. L'arrivo di Griffin consente a Stan Van Gundy di migliorare sensibilmente il suo roster, di poter pensare di rimontare posizioni in ottica playoffs, per vedere poi l'effetto che fa. Anche qui sussistono dubbi sulla futuribilità della mossa: davvero una coppia di lunghi formata da Andre Drummond e Griffin, con il vuoto alle loro spalle (Reggie Jackson ai box, ma comunque giocatore ondivago), potrà riportare Detroit ai fasti del passato? Difficile immaginarlo. Ma i Pistons avevano bisogno di una scossa, che poteva arrivare solo tramite trade, perchè l'arrivo di free agent di livello a Mo-Town sarebbe stata pura utopia, e neanche le scelte al Draft avrebbero aiutato, a meno di pesche miracolose. Un'operazione che nel breve periodo accontenta entrambe le franchigie coinvolte, ma che potrà essere valutata nel suo complesso solo in un arco temporale molto ampio.