Dopo anni gloriosi, anni di una delle dinastie più memorabili della storia recente in NBA, sembra che i San Antonio Spurs abbiano iniziato una rapida fase discendente. Dopo il ritiro di Tim Duncan, vera spina dorsale del ventennio di Gregg Popovich in panchina, ed il lento addio di Manu Ginobili, che sta resistendo nella lega più competitiva del pianeta a quarant’anni suonati, anche Tony Parker ha dovuto aprire le porte, almeno per qualche giorno, all’ultima fase della sua carriera.
La scorsa notte, infatti, in occasione della sconfitta per 94-86 contro gli Indiana Pacers, Parker ha iniziato la sua partita dalla panchina. Si tratta solo del ventunesimo caso (escluse ovviamente le gare in cui il franco-belga è rimasto totalmente a riposo o fuori per infortunio) in 17 anni di carriera, il primo dai Playoffs 2010, contro i Dallas Mavericks. A quanto pare, Pop ha preso da parte il suo playmaker prima della partita, dicendo come secondo lui fosse “arrivato il momento” di lasciare spazio a Dejounte Murray, in crescita al suo secondo anno nella Lega.
Parker, ai microfoni, si è comunque detto ottimista, parlando di come l’infortunio patito lo scorso maggio (distaccamento del tendine del quadricipite), l’operazione e la conseguente riabilitazione lo stiano a tuttora condizionando: “Non c’è problema, come per Manu e per Pau, sapevo che sarebbe arrivato questo momento. Se Pop pensa che questa sia la cosa migliore per la squadra, io concordo con lui, aiuterò Dejounte al meglio che posso e cercherò di dare il massimo nella second unit con Ginobili e Mills. Devo continuare a lavorare ed essere paziente, perché appena rientrato dopo un lungo stop (lo scorso novembre, ndr), hai l’adrenalina, l’energia, ed infatti nelle prime 10 partite mi sentivo molto bene. Dopodiché, è come colpire un muro, arriva un calo, perché per sei mesi hai lavorato così tanto, sulla tua riabilitazione, sull’infortunio, per tornare a giocare il prima possibile. Un calo fisiologico è normale, ma nel mio caso è arrivato insieme ad una distorsione alla caviglia, ed ho sentito come se tutto fosse peggiorato di colpo, allo stesso momento. Comunque, ho fiducia in me stesso e nel mio dottore, che mi ha rassicurato dicendo che servono almeno dieci o undici mesi per tornare al 100% dopo un infortunio del genere. Quindi, bisogna avere pazienza”.
In effetti, le ultime quattro partite di TP sono state ben al di sotto del suo livello medio: solo 9/32 complessivo dal campo per 22 punti e 15 assist, a fronte dei 12 punti (5/10) e cinque assist piazzati nella sola partita di ieri. Comunque, Popovich ha mantenuto il riserbo sul futuro, non sciogliendo i dubbi su quale sarà la point-guard titolare nelle prossime settimane. Murray, dal canto suo, stanotte ha contribuito con otto punti (3/8 dal campo), sette rimbalzi, quattro assist e tre rubate nella sua quindicesima partita stagionale da titolare. Teoricamente, selezionandolo con la 29esima scelta assoluta al Draft 2016, Popovich pensava di trovare il naturale erede proprio di Parker, ma per ora il prodotto di Washington, nonostante la netta crescita, sembra non aver ancora trovato il suo posto ideale nel mondo NBA. Le premesse sono buone ed il tempo è dalla sua (classe 1996), ma questo porta a notare come San Antonio sia, almeno sulla carta, abbastanza impreparata ad affrontare il futuro prossimo.
Come già citato, gli Spurs hanno costruito i loro successi negli ultimi 20 anni sul nucleo Duncan-Ginobili-Parker, a cui nel nuovo decennio si è aggiunto il talento estremo di Kawhi Leonard, e soprattutto sulla grande figura di Gregg Popovich, sapiente maestro capace di amalgamare i Big Three con una filosofia di gioco e con appositi giocatori di sistema capaci di rendere la franchigia texana una macchina quasi perfetta, oltre che praticamente self-made. Eppure, dopo il titolo del 2014, era palese come il roster avesse bisogno di una rinnovata, di un nuovo ciclo da aprire per poter rimanere sulla cresta dell’onda. La netta sensazione è che Popovich ed il suo General Manager RC Buford abbiano ritardato il più possibile il rinnovamento, costruendolo praticamente su Leonard (sicuramente uno dei top 5 della Lega per apporto nelle due metà campo) e su Lamarcus Aldridge, strappato alla concorrenza durante la free agency 2015, affiancandoli a possibili “steal of the draft” come Anderson, Bertans e lo stesso Murray.
In questa stagione, però, tutti i problemi di San Antonio sono venuti a galla in maniera prepotente. La situazione è critica: gli anni passano per tutti, ed i vari Ginobili, Parker, Gasol, nonostante gli sforzi profusi, possono garantire sempre meno continuità lungo le 82 partite di Regular Season. Dal canto suo, Leonard è alle prese con un complicatissimo problema al quadricipite, che sembrava risolto dopo diversi mesi ed invece, dopo sole nove presenze stagionali, lo ha costretto di nuovo a fermarsi nei giorni scorsi. In questa situazione, chi si sarebbe dovuto prendere la squadra sulle spalle, a 33 anni, dopo 12 di esperienza nella lega, è LaMarcus Aldridge, ma l’ex-Portland sembra aver smarrito la fiducia in sé stesso, prende sempre meno tiri, sembra meno concentrato ed anche a livello di spogliatoio non in grado di addossarsi responsabilità e riflettori per trascinare i suoi fuori dal momento buio. Le nuove leve, come Forbes, Bertans ed Anderson oltre al già citato Murray, non sembrano in grado di fare un passo in più verso la leadership, ed ecco che gli Spurs si ritrovano allo sbando. Questa stagione, che sembrava essersi ripresa dopo le mille difficoltà iniziali, rischia invece di chiudersi in maniera rovinosa, con Popovich chiamato, per l’ennesima volta, a trovare l’asso nella manica per poter dire la propria in post-season.
Anche sulle prossime stagioni, però, le nubi sembrano accavallarsi già da ora: la situazione contrattuale del prossimo anno, al netto dello step in avanti che si farà dal punto di vista del tetto salariale, tiene abbastanza legate le mani al front office grigio-nero: Aldridge, Leonard, Ginobili e Parker hanno contratti fino al 2018 se non più longevi, ed insieme comporteranno una spesa superore ai 70 milioni, a cui vanno unite le possibili (pesanti) player-option che possono essere esercitate da Gay (8 milioni) e Green (10). Certo, qualora dovesse ritovare la miglior condizione fisica e mentale in tutti i suoi componenti, considerando la possibile crescita dei giovani, il roster degli Spurs farebbe ancora paura a tantissime concorrenti, ma la sensazione ad inizio 2018 è che senza cambiamenti un ritorno su palcoscenici di livello massimo è alquanto improbabile. A meno di giochi di prestigio al prossimo, succolento, Draft NBA, una trade sembra l’unica strada, seppur decisamente impervia e rischiosa, percorribile da San Antonio per provare a tornare nell’olimpo della pallacanestro americana.