Mentre la regular season NBA è quasi al giro di boa - le trenta franchigie hanno disputato poco meno della metà delle gare in calendario - è partita la corsa a uno dei primi più importanti della stagione. Quello di rookie of the year, ovvero di miglior matricola dell'anno, che vede in lizza diversi giocatori. A differenze di altre stagioni, il 2017-2018 ha visto scendere in campo talenti che hanno dimostrato di essere subito pronti a sostenere il peso di grandi palcoscenici. Ognuna delle ultime scelte al Draft (eccezion fatta per Ben Simmons, selezionato nel 2016 ma k.o. per tutta la scorsa regular season) ha impressionato grazie alle armi a propria disposizione, al punto che non è ancora possibile individuare con certezza chi sarà il vincitore (anche se le prime indicazioni convergono tutte sullo stesso Simmons). Questi i rookie che sinora hanno meritato una menzione particolare: 

Ben Simmons (Philadelphia 76ers). Atteso come il nuovo LeBron James, l'australiano da Louisiana State University ha confermato pregi e difetti già noti a chi lo conosceva dai tempi del college. Totalmente sprovvisto di un tiro in sospensione (segna solo in avvicinamento, con ganci, layup o runner), Simmons è straordinario in tutte le altre fasi del gioco. Soprattutto come rimbalzista e passatore, tanto da divenire la point guard titolare dei Philadelphia 76ers, che puntano su di lui e su Joel Embiid per tornare ai playoffs. I suoi numeri sono già notevoli (più di una tripla doppia messa a referto in stagione), ma il suo gioco è in divenire, non solo per quanto riguarda il tiro, ma anche per ciò che concerne il sistema in cui è inserito. Non disponendo di un jumper, Simmons non può fermare la palla, a meno di non voler diventare un giocatore normalissimo: correre è per ora la miglior opzione a sua disposizione. 

Jayson Tatum (Boston Celtics). Senza alcun dubbio il giocatore più completo tra i rookie. Prodotto da Duke, l'ala dei Boston Celtics si è inserita con clamorosa naturalezza nel sistema di Brad Stevens, mostrando doti di tiratore insospettabili, specie considerando i suoi pregressi al college. Sempre sotto controllo, non ha paura di prendersi responsabilità in the clutch, quando la palla comincia a scottare per tutti gli altri. Predestinato, perchè con un fisico esile ma longilineo, può difendere bene contro tutti gli esterni, e soprattutto cambiare, risorsa fondamentale nell'NBA di oggi. I fondamentali non si discutono, la testa nemmeno: preso alla tre, gran colpo di Danny Ainge. 

Donovan Mitchell (Utah Jazz). Il miglior realizzatore puro del Draft. Alzi la mano chi immaginava che questo ragazzo uscito da Lousville potesse diventare una macchina di canestri di questo livello. In un contesto come quello degli Utah Jazz, che non brilla per facilità offensiva di squadra, Mitchell ha mostrato personalità, diventando in breve tempo la prima opzione offensiva a disposizione di coach Quin Snyder. Tiratore da tre, anche dal palleggio, non disdegna le penetrazioni al ferro, in alcuni casi chiuse con gesti atletici che fanno sobbalzare dal divano gli appassionati. A Salt Lake City può solo crescere, intanto è un possibile candidato alla gara delle schiacciate del prossimo All-Star Game. 

Kyle Kuzma (Los Angeles Lakers). E' lui la steal of the Draft del 2017, colpo firmato Magic Johnson e Rob Pelinka. Una della poche note liete della stagione gialloviola: scelto alla numero 27, prodotto degli Utah Utes, Kuzma è la vera sorpresa tra le matricole. Dopo una preseason interessante, il ragazzo è riuscito a fare ancora meglio da ottobre in poi: pacchetto completo, dal tiro da tre alla penetrazione al ferro, dalle stoppate alla difesa, è una bomba di energia pronta a esplodere, che non ha paura di niente e nessuno. Si è anzi esaltato nel confronto più o meno diretto con avversari ben più quotati, come nella vittoria dei Lakers a Houston contro la squadra di James Harden. Doveva essere il rookie numero due dei gialloviola, ha soppiantato Lonzo Ball nelle simpatie dei tifosi. 

Lauri Markkanen (Chicago Bulls). Finito in una versione dei Bulls tutta da decifrare, il finlandese prodotto da Ariza ha confermato quanto di buono mostrato agli Europei. Eleganza infinita, range di tiro pressochè illimitato per un lungo, capacità di mettere palla per terra e movimenti in post (ancorchè da migliorare). I Bulls lo stanno utilizzando sostanzialmente come numero quattro che apre il campo, ma Markkanen è molto di più, è un diamante grezzo abile anche come passatore. Ambiente e ambizioni personali ne tracceranno il profilo per gli anni successivi. 

Lonzo Ball (Los Angeles Lakers). Il più scrutinato tra i rookie, scelto alla numero due, ha sinora deluso parte di tifosi e addetti ai lavori. Ma Lonzo è questo, prendere o lasciare. Playmaker d'altri tempi, che gestisce i ritmi della squadra con grande sapienza, non è e non sarà mai un realizzatore, e non solo per la pessima meccanica di tiro, rimanendo invece una sorta di uomo ovunque, splendido nelle piccole e nelle grandi cose che si possono distillare in una partita di pallacanestro. Forse mai superstar, sicuramente ragazzo da seguire con attenzione, più tecnica che mediatica (l'influenza del padre, l'onnipresente LaVar, non gli ha sinora giovato). 

In questo breve elenco di matricole di cui più si è parlato nei primi due mesi e mezzo di stagione, manca ovviamente la prima scelta assoluta dell'ultimo Draft, quel Markelle Fultz che i Philadelphia 76ers non hanno quasi mai potuto schierare per problemi a una spalla. I detrattori lo attendono al varco, rinfacciandogli una meccanica di tiro alla Lonzo: più prudente vederlo in azione tra i grandi prima di valutarlo. C'è poi il curioso caso sliding doors Frank Ntilikina-Dennis Smith. Il francese, scelto da Phil Jackson ai New York Knicks, è tutto da costruire. Buon difensore, al momento è lontano dall'essere un fattore nella metà campo offensiva (quantomeno con continuità), mentre il numero uno dei Mavs è un grande atleta, un agonista che dà la sensazione di poter solo migliorare. Tra i primi dieci dell'ultimo Draft, sotto le aspettative De'Aaron Fox e Josh Jackson, finiti in ambienti complicati in cui emergere, come quelli dei Sacramento Kings e dei Phoenix Suns, mentre il colpo del secondo giro è firmato Bob Myers, general manager dei Golden State Warriors, che si è aggiudicato Jordan Bell da Oregon, sottratto ai Chicago Bulls per cash considerations: verticalità, fisicità e difesa, innesto perfetto per coach Kerr e i Dubs. In un altro sistema forse non vedrebbe nemmeno il campo.