Tre sconfitte consecutive non hanno intaccato la fiducia dei giocatori degli Houston Rockets nel loro sistema di pallacanestro, implementato da coach Mike D'Antoni, al secondo anno sulla panchina del Toyota Center. Sono i razzi della NASA, secondo la maggior parte degli addetti ai lavori, i principali rivali dei Golden State Warriors sul fronte occidentale. Non solo perchè James Harden sta disputando un'altra regular season da candidato MVP, ma perchè l'inserimento estivo di Chris Paul ha dato una nuova dimensione all'attacco di Houston.
Se durante l'offseason potevano esserci dubbi sulla coesistenza di due giocatori che amano entrambi avere la palla in mano, gli stessi sono stati fugati dai primi mesi di stagione NBA, in cui l'ex point guard dei Los Angeles Clippers si è rivelato importantissimo per le sorti dei Rockets. Non a caso, con Paul in campo, Houston ha perso una sola gara, quella casalinga contro i Lakers di una settimana fa (ma anche in quel caso CP3 è stato costretto ad arrendersi a un problema muscolare all'adduttore, che lo ha poi tenuto fuori anche contro Clips e Thunder). Nella gara natalizia della Chesapeake Energy Arena di Oklahoma City, l'assenza di Paul ha inciso enormemente sul risultato finale. Contro la squadra di Billy Donovan, di Russell Westbrook, Carmelo Anthony e Paul George, si è rivisto - soprattutto nel quarto quarto, ma non solo - il James Harden degli scorsi playoffs, in particolar modo quella della serie persa contro i San Antonio Spurs. Un Harden che in alcuni momenti della gara tende a tenere troppo la palla in mano, dimostrando di non essere un vero playmaker, nonostante doti di passatore fuori dal comune. La differenza è sottile, ma fondamentale, perchè il Barba gioca al suo ritmo, è esiziale sul pick and roll, può segnare in isolamento, ma non è Steve Nash. Non comprende sempre quali sono i momenti della partita in cui spingere sull'acceleratore (come vuole il più delle volte il suo allenatore) e quali quelli in cui muovere la palla in maniera efficace anche a metà campo. Ecco perchè Chris Paul è fondamentale per sgravare Harden da compiti di playmaking che non gli appartengono fino in fondo.
Rispetto al Barba, CP3 è senza dubbio meno realizzatore, ma è con ogni probabilità l'ultima point guard old school di questa fase di basket NBA, capace di miscelare al meglio doti di scorer e di lettura delle partite. Storicamente, Paul non hai mai gradito giocare una pallacanestro aggressiva, da seven seconds or less, per intendersi. Ma la sua conoscenza del gioco è troppo importante per una Houston che solo con Harden rischia di appiattirsi sulle solite giocate (da fenomeno) del Barba. Così, quando mancano le triple in transizione o nei primi secondi dell'azione, come capiterà più spesso ai playoffs, l'attacco dei Rockets, devastante nei primi due mesi di regular season, finisce per diventare incredibilmente stagnante, e per far affiorare tutti i limiti di giocatori che hanno spesso una sola dimensione offensiva (i vari Trevor Ariza, Ryan Anderson, P.J. Tucker e Luc Mbah a Moutè, con Eric Gordon unico in grado di creare qualcosa dal palleggio). In più, Paul aggiunge un'attenzione difensiva sconosciuta ad Harden, creando così un backcourt che si completa quasi perfettamente, e grazie al quale i Rockets pensano di poter competere contro i Golden State Warriors. Da non sottovalutare proprio l'aspetto difensivo dei nuovi Rockets, che si affidano a Clint Capela per la copertura del ferro, e ai cambi difensivi dei loro esterni (in particolare Mbah a Moute, Ariza e Tucker, ma ora anche Paul) per migliorare una fase del gioco che fino allo scorso anno li vedeva deficitari. Senza la miglior combinazione possibile tra Harden e Paul, Houston dovrà accantonare i suoi sogni di gloria mentre, con le sue due superstar al loro meglio e perfettamente integrate, avrà una chance di vincere i playoffs della Western Conference.