"Strenght in numbers" nel bene come nel male. Già. Se il motto dei Golden State Warriors ha fatto scuola e reso emblematico il concetto di dominio della squadra di Curry, Thompson e Durant negli ultimi anni attraverso l'analisi dei numeri in accezione del tutto positiva, l'assunto vale anche per quel che riguarda il rovescio della medaglia, ovverosia per quelle peculiarità che, quando gira male, rappresentano il turning point al contrario diventando la chiave per le sconfitte degli uomini di Steve Kerr. Fotografia perfetta dello status della squadra della baia ne è la sconfitta della notte, quella più clamorosa in termini di punteggio e di andamento della gara assieme a quella rimediata a New York dai Cleveland Cavaliers.
Difficile infatti vedere alla Oracle Arena i padroni di casa sperperare un vantaggio di 14 lunghezze (68-54) nel giro degli ultimi venti minuti. Anzi, solitamente accade il contrario, con Durant, Curry e compagni che si galvanizzano nelle difficoltà e nei parziali negativi sfruttando un episodio, una scintilla, per dare il là alla rimonta e ritrovare entusiasmo ed energia. Aspetti, questi ultimi, solitamente frutto e dirattamente proporzionali all'intensità difensiva che la squadra di coach Kerr mette in campo. Barometro di questo parametro è - il novanta per cento delle volte - Draymond Green, il quale assieme ad Andre Iguodala sembra avere un telecomando attraverso il quale gestisce a piacimento il potenziometro della difesa di Golden State. Così è stato a cavallo tra secondo e terzo quarto della sfida contro i Detroit Pistons, in controllo quando la tripla di Thompson e l'arresto e tiro di Durant sembravano dare ai Warriors la possibilità di mettere in ghiaccio la sfida.
Ritmo ed intensità, energia ed entusiasmo, generati da palle recuperate e tramutati in punti facili in transizione. Assist e triple, vantaggio e, idealmente, partita in controllo. Tutt'altro. Perché è un attimo, come fanno spesso ad accendersi, anche ad ottenere l'effetto contrario: mentalmente i Warriors escono dalla partita, iniziano a divertirsi ma nel modo sbagliato, eccedendo con i virtuosismi e perdendo di efficacia in attacco. Conseguenza ne diventano immediatamente il numero di palle perse, che da inizio stagione sta caratterizzando le partite di Golden State: passaggio fisiologico di crescita ad inizio stagione, quando l'attenzione non è massimale e la concentrazione è la conseguenza di svariati fattori. Naturale sì, ma tutt'altro che giustificabile, perché Curry e compagni iniziano a faticare laddove avevano costruito il vantaggio.
Tirando con il 56% dal campo Golden State perde la partita, nonostante il 46% globale degli ospiti, i quali cambiano marcia difensivamente, chiave degli ultimi successi stagionali. Stavolta i numeri voltano le spalle agli Splash Brothers ed il motivo è presto spiegato. L'inversione di tendenza degli ultimi minuti parla di una serie infinita di palle perse - saranno 26 a fine partita - dalle quali nascono punti facili per gli ospiti di Van Gundy, abili come nella notte prima a Los Angeles sponda Clippers ad approfittare di questo rilassamento e realizzare ben 33 punti da queste situazioni. Se l'attacco non sembra essere un problema - con 39 punti realizzati negli ultimi venti minuti - è la difesa, conseguenza primaria dell'atteggiamento mentale di una squadra, qualsiasi essa sia, a fare la differenza in negativo: 61 sono i punti subiti in 20 minuti di gioco, tre di media a minuto, un'enormità anche per la squadra più forte del pianeta terra.
Impossibile rialzarsi da questo parziale, difficile trovare una chiave, stavolta, per riaccendere la scintilla dell'entusiasmo e dell'energia, soprattutto per mettere un freno all'inerzia ospite in attacco. Golden State prova nel finale ad aggrapparsi al proprio talento, ma ai numeri - soprattutto ad un body language del tutto sbagliato - anche stavolta, non si comanda. Warriors in ginocchio davanti ai Pistons, così come capitato altre due volte in stagione. Decisamente troppe, figlie di un atteggiamento mentale tutt'altro che positivo. Tuttavia, la sensazione è che l'autorevolezza e la consapevolezza dei propri mezzi sia sempre la stessa, ovverosia quella di restare in controllo totale di quei numeri che rappresentano, ancora oggi, e probabilmente ancora per molto tempo, la forza dei Golden State Warriors.