Sono ormai passati parecchi mesi dal quel 3 Maggio 2017, giorno in cui i San Antonio Spurs vinsero con un netto 121 a 96 contro gli Houston Rockets in gara 2 delle semifinalei della western conference, anche se persero la loro point guard titolare Tony Parker. Rottura del tendine del quadricipite sinistro per il giocatore franco belga che, è stato costretto a saltare il resto dell’agonica post season di San Antonio, terminata nelle western conference finals contro i Golden State Warriors, poi campioni.
Una grave perdita per la franchigia texana, soprattutto considerando l’entità dell’infortunio applicata su un atleta non proprio di primissimo pelo come Parker (36 anni il prossimo Maggio), che comunque sta intraprendendo un percorso di recupero rapido ed efficace. Per facilitare un rientro graduale sui parquet NBA, i San Antonio Spurs hanno optato per accorpare l’MVP delle finali del 2007 agli Austin Spurs, squadra di G-League affiliata alla franchigia texana, dove Parker ha cominciato ad effettuare alcune sessioni di allenamento. Un rientro graduale, assolutamente non forzato o accelerato per una situazione che, a detta degli stessi Spurs, non presenta una tabella di marcia definita ma che andrà monitorata giorno dopo giorno nella speranza di un graduale miglioramento della condizione fisica del giocatore. Decisione tipica della gestione fisica e atletica di Popovich e il suo staff, mai avvezzi ad affrettare il recupero dei loro elementi di riferimento e, considerando i rimi della pallacanestro contemporanea, che contribuisce a infortuni più o meno gravi con cadenza giornaliera, come dargli torto.
“Mi hanno dato risposte confortanti, ma credo serviranno ancora un paio di mesi per recuperare la forma e rafforzare la mia gamba” queste sono le parole del nativo di Bruges risalenti allo scorso settembre riguardanti le confortanti parole dello staff medico in merito al suo infortunio. “Non ho mai pensato di non poter tornare a giocare – ha dihiarato Parker ai microfoni di The Undifeated- molti l’hanno detto, ma non li ho mai ascoltati, perché ero troppo frustrato dal fatto di non poter aiutare i miei compagni nelle finali di conference, quella è stata la cosa peggiore. Per il resto non ho mai pensato di non poter tornare a giocare”. Approccio assolutamente positivo per il sei volte all-star e tre volte all-NBA, che, nonostante la non più giovane età, mostra ancora uno spirito ed una voglia di competere, non comune per un giocatore del suo chilometraggio che ha già conquistato ogni tipo di riconoscimento in NBA e con la nazionale francese.