A trentadue anni, Marc Gasol non si accontenta più di rimanere a buoni livelli NBA con la maglia dei Memphis Grizzlies. Dopo stagioni concluse con apparizioni ai playoffs, il catalano vuole ore che la squadra del Tennessee, allenata da David Fizdale, faccia un ulteriore salto di qualità, aspirando a lottare per il titolo. Altrimenti le strade delle due parti potrebbero separarsi.
E' ciò che il giocatore catalano lascia intendere in un'intervista esclusiva concessa al quotidiano spagnolo AS, nonostante il suo contratto con i Grizzlies scada nel 2020, con ingaggio a salire dai 22.6 milioni di dollari di questa stagione ai 25.5 dell'ultimo anno (ma con player option nell'estate 2019). Gasol vuole vincere, e se a Memphis non dovesse riscontrare le condizioni adatte, potrebbe chiedere una trade per cambiare aria. Ma è ancora presto per fare certi discorsi, c'è una nuova stagione NBA da affrontare: "Sarà un'annata piena di sfide - le sue parole - che segnerà un po' il mio futuro NBA. So di essere il giocatore franchigia e che se le cose non dovessero andare per il verso giusto, forse dovremmo prendere una decisione concordata tra me e il frontoffice. Accetto tutto questo come una grande sfida. Nessuno si aspetta che i Grizzlies quest'anno facciano qualcosa di importante, ma invece noi vogliamo riuscirci. Competeremo al massimo delle nostre possibilità". Quale obiettivo per la Memphis 2017/2018? Il raggiungimento dei playoffs, ragionevolmente. Ma il catalano non la pensa così: "No, la sfida non sono i playoffs, la sfida più grande è quella di portare la squadra a livelli dove non è mai stata". Traduzione: le finali NBA, perchè negli ultimi anni i Grizzlies sono già giunti in Finale di Conference, nel 2013, quando furono travolti per 4-0 dai San Antonio Spurs. Obiettivo ambizioso e apparentemente impossibile, ma solo da grandi motivazioni possono nascere grande imprese. Quella che non è riuscita quest'estate alla sua Spagna, giunta terza agli Europei di pallacanestro, dopo l'oro vinto a Lille due anni fa: "Non è stata una medaglia di bronzo agrodolce. Ovviamente è stato durissimo perdere in semifinale ma, alla fine della partita, non abbiamo provato la stessa sensazione del k.o. mondiale contro la Francia nel 2014. La Slovenia non ci ha distrutti, ma ha vinto nettamente. Ogni volta che provavamo a riavvicinarci nel punteggio, rispondevano con una tripla o con una gran giocata. Complimenti a loro, hanno disputato un gran torneo. Per noi è stato più facile reagire dopo una sconfitta del genere: è peggio quando si perde con la sensazione di essere stati vicini all'obiettivo".
Impossibile non chiedere al fratello minore di Pau un'opinione su Luka Doncic, diciottenne sloveno in forza al Real Madrid, già padrone d'Europa e dal prossimo anno eleggibile per il Draft NBA: "E' un ragazzo che non commette errori. Può sbagliare un tiro, ma quello non è un errore. Legge perfettamente il gioco e l'andamento della partita. L'altezza e le qualità tecniche lo aiutano, però la sua testa fa la differenza. Il suo istinto è superiore a quello di un diciottenne. Offensivamente, legge perfettamente cosa gli propone la difesa e cosa deve fare il suo attacco. Ci riesce il 95% delle volte, l'ho vissuto in prima persona. E' un giocatore top, non ci sono differenze per lui tra Europa e NBA. Quando vedo qualcuno che capisce il gioco e che sa interpretarlo, per me è uguale che giochi in EBA o in NBA. Il basket è universale". Con il ritiro dalla nazionale di Juan Carlos Navarro e l'età avanzata del fratello Pau, si chiude un ciclo per le Furie Rosse?: "Non lo so, ma quel che è certo è che esiste un prima e e un dopo Navarro. Un giocatore e una persona irripetibile, ma il basket è in continua evoluzione, indipendentemente dai giocatori che vanno in nazionale. Lo stile della nuova pallacanestro esige un'evoluzione costante, non possiamo giocare come giocavamo nel 2009. Ci sono nuove generazioni che prendono piede che portano cose diverse, migliori e peggiori. Bisogna ripartire e creare una squadra forte da molti punti di vista. Senza dubbio, io, Navarro e Pau abbiamo segnato un'epoca. Quella dei nati negli anni Ottanta è stata una generazione che ha dettato la linea, soprattutto su come vanno fatte le cose, al di là del gioco. Parlo del quotidiano, del rispetto, dell'impegno, tutte cose che abbiamo fatto insieme ad altri che hanno avuta la fortuna di vivere quest'avventura con noi. Quando certi giocatori non ci saranno più, bisognerà trovare un modo per coinvolgerli ancora".