51 vittorie stagionali, una squadra solida e che giocava un ottimo basket, un bottino estremamente positivo anche nei playoff con l'accesso alle semifinali di Conference dopo una splendida serie portata a casa in gara-7 contro i Los Angeles Clippers ed una stagione vissuta forse ben oltre le più rosee aspettative. A Salt Lake City, sponda Utah Jazz, l'annata immediatamente successiva ad una delle migliori campagne da una ventina d'anni a questa parte si preannunciava ancor più florida e vincente, nonostante qualche nube si stesse addensando attorno alla Vivint Smart Home Arena. Save the date, direbbero dall'altra parte dell'oceano, perché il 4 luglio 2017 - giorno dell'Indipendenza negli USA - tra le montagne dello Utah non verrà ricordato con giubilo, anzi: la decisione di Gordon Hayward di lasciare l'Ovest per approdare alla corte di coach Brad Stevens ai Boston Celtics, unita all'addio di George Hill, hanno scombussolato e non poco i piani di coach Snyder in vista della stagione 2017-18.
Inevitabile non partire da questo momento in particolare per iniziare a spiegare la mini-rivoluzione che il cinquantenne tecnico nativo di Washington ed il General Manager Dennis Lindsey hanno dovuto mettere in atto per porre rimedio a quanto accaduto. Rispetto ad altre franchigie i Jazz hanno deciso di continuare a puntare sulla spina dorsale della squadra della passata stagione provando ad aggiungere un paio di tasselli che, in corso d'opera, potrebbero porre parzialmente rimedio alle due perdite. Uno dei punti cardine - anzi, il punto cardine - dal quale ripartire è, in primis, il sistema di gioco di coach Snyder, riconosciuto come il Deus ex Machina assoluto delle fortune dei Jazz in queste ultime stagioni, in grado di esaltare le qualità degli interpreti a sua disposizione; inoltre, dal punto di vista squisitamente tecnico, l'investimento estivo è ricaduto su Rudy Gobert, il quale dovrà necessariamente farsi carico del fardello di "uomo franchigia" provando a caricarsi sulle spalle la squadra nei momenti di difficoltà, dentro e fuori dal campo. Gli spifferi tra le strade di Salt Lake City parlano tuttavia, nonostante le innate doti tecniche e fisiche oramai appurate e constatate da tutta la Lega, di una scommessa forse esagerata dal punto di vista emotivo, in quanto il lungo transalpino non sembra ancora maturo e pronto per raccogliere l'eredità carismatica del gruppo - nonostante qualche chioccia al suo fianco.
Attorno al centro francese, però, una buona amalgama di squadra nel complesso, molto complementare dal punto di vista tecnico che carismatica fuori dal campo: se all'assenza di Hill Lindsey ha posto rimedio puntando le sue fiches su un giocatore che ha bisogno di riscattarsi e di rimettersi in gioco dopo anni di soporifere apparizioni in quel di Minnesota, Ricky Rubio, in ala la situazione è cambiata drasticamente ma senza innesti esterni, con Joe Ingles che è stato promosso di gradi e dovrebbe partire stabilmente in quintetto con Joe Johnson alter ego dalla panchina. Non una soluzione tampone, bensì uno spostamento delle necessità offensive da un fuoco ad un altro: se lo scorso anno Hayward con i suoi 22 punti di media a serata rappresentava il faro dell'attacco dei Jazz, l'obiettivo di Snyder in questa stagione sarà necessariamente puntare tutto sull'asse Rubio-Gobert, attorno al quale studiare le mosse per mettere in condizione due ottimi tiratori come Hood e Ingles di aprire il campo, e Derrick Favors di tornare - forse - ai livelli di un tempo.
L'esplosione di Gobert e la necessità di mettersi in mostra per essere maggiormente appetibile nella Free Agency della prossima estate potrebbero essere le giuste chiavi di volta per smuovere l'animo dell'ala forte nativa di Atlanta, le cui ultime stagioni in sordina non hanno soddisfatto appieno la dirigenza dei Jazz. Come detto, l'attenzione della dirigenza si è maggiormente rivolta alla sostituzione tecnica di George Hill piuttosto che a quella di Gordon Hayward, ed il motivo è presto spiegato. Se l'ala ex Butler era sì il miglior realizzatore del sistema offensivo di coach Snyder è altrettanto innegabile che la braccio che eseguiva i dettami del tecnico in campo ed il leader tecnico e spirituale dello stesso, era l'ex playmaker degli Indiana Pacers e dei San Antonio Spurs: 17 punti di media e 4 assist a partita rendono bene, ma non al meglio, l'importanza e l'incidenza di Hill nel sistema di Utah, la quale ha tremendamente sofferto la sua assenza prolungata dai parquet di gioco. Per ovviare alla sua partenza verso Sacramento, i Jazz hanno puntato sulla voglia del playmaker spagnolo: anche attorno a Rubio, però, c'è qualche riserva di troppo, legata alle scarsissime doti balistiche che potrebbero condizionare le scelte difensive avversarie e limitare le soluzioni in area della squadra.
Stessi dubbi che, oramai da qualche mese, circolano attorno al nome di Dante Exum, chiamato quest'anno ad esplodere definitivamente dopo le non esaltanti prime due annate in NBA. Nelle mani del ventiduenne australiano le chiavi della second unit degli Utah Jazz, che chiaramente potranno contare sull'esperienza e sulle qualità realizzative di iso-Joe Johnson, il cui carisma e la cui esperienza risulteranno di fondamentale importanza nei finali di partita equilibrati ed altresì negli equilibri di spogliatoio. Accanto ad Exum in posizione di guardia Alex Burks e Thabo Sefolosha, mentre Johnson si alternerà verosimilmente in ala con Jonas Jerebko e con il campione d'Europa con il Fenerbahce Ekpe Udoh, il quale difficilmente riuscirà ad agire da centro puro, nonostante le sue caratteristiche tecniche siano sostanzialmente quelle al netto di una taglia leggermente inferiore ai centri puri della NBA. Occhio infine a Donovan Mitchell, prodotto in uscita dai Louisville Cardinals che in silenzio e con tanta etica del lavoro sta provando a ritagliarsi minuti importanti nelle rotazioni degli esterni.
Difficile ripetere i risultati sportivi della stagione appena trascorsa, ma lo è altrettanto pensare che a Salt Lake City la partenza di Hill ed Hayward possa lasciare un vuoto talmente enorme da mettere in discussione tutte le certezze tecniche del sistema di coach Snyder e lasciare ai Jazz una stagione di mediocrità assoluta. L'obiettivo è quello di continuare a far crescere i giovani giocatori presenti in rosa, oltre all'intento di puntare a confermare ai playoff della Western Conference, nonostante la serratissima lotta che ci sarà per accaparrarsi le posizioni di rincalzo alle spalle delle migliori cinque o sei squadre dell'Ovest. Utah, però, cade in piedi e vuole esserci.