Nella giornata di martedì è stato reso noto il nuovo format dell’All-Star Game che entrerà in vigore già dalla prossima edizione del 2018 a Los Angeles, il quale prevederà pesanti modifiche tra cui l’abolizione della divisione tra est e ovest. Una notizia clamorosa che ha tra l’altro anche un pesante valore storico oltre che mediatico e culturale, essendo la prima volta dopo decenni che la suddivisione nelle due Conference, propria del sistema sportivo americano anche al di fuori della pallacanestro, viene meno e quindi sostituito con un criterio molto diverso.

La verità vede tuttavia qualcosa di parzialmente diverso, in cui il nuovo sistema prevederebbe una modifica importante, ma non sostanziale nel format, in quanto la selezione dei partecipanti rimarrà invariata e suddivisa all’interno delle sue Conference, con le solite percentuali divise tra voto degli appassionati, voto dei giocatori, contributo dei giornalisti e scelta degli allenatori per quel che concerne le riserve. La modifica effettiva sta nel momento successivo alla scelta dei magnifici 24, in cui la costruzione delle due rose verrà affidata ai due capitani (i più votati di ciascuna Conference) che sceglieranno, in base a loro criteri, i propri compagni di squadra.

Una variazione importante, sicuramente storica, che ha destato un certo scalpore ed interesse in tutto il mondo cestistico americano e non solo, ormai tradizionalmente legato alla dicotomia est-ovest, ma che nasconde obiettivi pratici neanche troppo criptici ed incomprensibili. È innegabile che nell’era contemporanea si sia sviluppato un gap, più o meno elevato a seconda delle annate, tra Eastern e Western Conference, soprattutto a fronte di un’analisi delle varie Regular Season che si sono susseguite, in cui la “quota di accesso ai playoff” si è sempre più alzata a favore dell’ovest ed abbassata per quanto riguarda l’est portando alla luce scenari in cui addirittura la nona classificata della Western Conference (quindi prima estromessa dalla post season) avesse addirittura più vittorie della sesta-quinta classificata nella Eastern. Questo divario si è tradotto in uno squilibrio statistico anche all’interno della partita delle stelle in cui il roster dell’est, a livello di vittorie accumulate da tutti i suoi componenti, ha prevalso sull’ovest solo due volte (2009 e 2011) dall'inizio del nuovo millennio.

Il bilancio vittorie nell’all-star game tra est e ovest non è così impietoso (12-6 per l’Ovest) ma comunque mostra chiaramente lo sviluppo di questo gap, che ha come culmine la stagione imminente, la quale, dopo una progressiva fuga di talento durante la pausa estiva, vede un est sempre meno competitivo. Paul George, Carmelo Anthony e Jimmy Butler sono solo alcuni esempi che compongono il gruppo nutrito di giocatori di alto livello che sono volati da Est a Ovest, spostando ancor di più l’ago della bilancia a favore di quest’ultimo con probabile ed evidente sintomaticità nel prossimo All-Star Game. In questo ultimo punto si può ritrovare la principale ragione che ha spinto la lega ad un così radicale cambiamento, cosa che tuttavia non risolverebbe un problema di fondo: essendo la modalità di selezione sempre la stessa e quindi dipendente dalla dicotomia est-ovest, ad est un fenomeno di questo tipo potrà solo che aiutare giovani stelle come i vari Kristaps Porzingis, Myles Turner o Bradley Beal a lanciarsi anche sul palcoscenico della partita delle stelle, ma, di contro, la sovrabbondanza di talento ad ovest potrebbe estromettere dalla kermesse giocatori che sicuramente figurerebbero tra i migliori 24 giocatori del globo, ma che purtroppo non rientrerebbero nei migliori 12 ad ovest. Concretamente questo significa che, con tutta probabilità, i vari Rudy Gobert, miglior centro difensivo della lega nello scorso anno e Mike Conley, che da anni insegue senza successo lo status di All-Star, meritandoselo, ma senza averlo mai ottenuto a causa dell’aspra concorrenza nel ruolo, rimarrebbero ancora, salvo sorprese, esclusi dalla manifestazione di Los Angeles.

Una rivoluzione nel format che ai più potrebbe simboleggiare un primo step verso una nuova idea di NBA priva dello storico dualismo, ma non sostanziale nella selezione ed eticamente ancora profondamente ancorata ad una divisione est-ovest. Ad un occhio attento la riforma in questione rappresenta semplicemente un tutelarsi da parte di Adam Silver e compagnia, limitato alla sfera dell’all-star week end e quindi lontanissimo dal sogno di vedere una squadra dell’est che affronta in post season una squadra dell’ovest prima delle finals cosa che lo stesso commissioner ha più volte escluso.

Da considerare infine la risonanza mediatica che una modifica di questo genere potrebbe avere nello svecchiare e aumentare l’interesse popolare verso una tradizione che, probabilmente, aveva bisogno di rinnovarsi. Comunque, anche se limitato per un fine settimana, o una domenica sera per la precisione, sarà interessante vedere una squadra composta in modo misto tra le stelle dell’eastern side e western side, dove un Lebron James che penetra e scarica per la tripla smarcata di Curry o un Paul George che schiaccia in testa al suo compagno ai Thunder Russel Westbrook, potrebbero non essere delle cartoline poi così impossibili da vedere.