Bocconi amari. Uno dopo l’altro, nel corso degli anni, uno peggio dell’altro: sono quelli che hanno dovuto ingoiare, a malincuore, i tifosi dei Philadelphia 76ers. Philly, infatti, nonostante possa vantare 3 titoli NBA nel palmarés, negli ultimi anni ha dovuto affrontare una vertiginosa parabola discendente di gioco e risultati, condizionata da cattive scelte dirigenziali, ma anche da una buona dose di sfortuna, con conseguente perdita di appeal sia sul mercato che agli occhi dei tifosi. Ora, dopo quasi sei anni dall’ultima apparizione ai Playoffs, la musica potrebbe essere cambiata, finalmente. Ma andiamo con ordine.
La scorsa stagione è stata la quinta consecutiva chiusa con un record negativo, con 28 vittorie e 54 sconfitte. Il bilancio, però, suona falsato dagli infortuni: Embiid, dopo l’exploit della prima parte di stagione, non è praticamente mai sceso in campo dopo gennaio, per un problema al ginocchio sinistro, con interesse del menisco, operato questa estate; Ben Simmons, prima scelta al Draft 2016, non ha nemmeno esordito per una serie di problemi al piede che la dirigenza di Philadelphia ha voluto affrontare con estrema cautela. In compenso, si sono viste ottime cose da Dario Saric, poi eletto Rookie Of The Year, e non solo. L’ennesima stagione sul fondo della classifica ha permesso ai 76ers di accaparrarsi un’altra scelta in cima al Draft, oramai una costante delle ultime stagioni.
La vera sorpresa, però, è arrivata pochi giorni prima dell’attesissimo Draft 2017: il front-office della città dell’amore fraterno ha ipotecato la propria terza scelta, assieme alla prima ottenuta dai Lakers per il 2018 (o in alternativa una tra le altre due possedute da Philly, a seguito di particolari condizioni) per accaparrarsi la prima scelta assoluta dai Boston Celtics. L’operazione, ovviamente, era destinata a far arrivare alla corte di Colangelo un preciso giocatore: Markelle Fultz.
Proprio Fultz, point-guard di 193 cm da Washington, rappresenta il tassello forse decisivo per il salto di qualità che tutti attendono da tempo: la sua capacità di crearsi tiri in ogni situazione, unita ad una visione di gioco notevole, ne fanno la pedina perfetta per coach Brown. Da testare il suo impatto con la lega più competitiva del mondo, ma le promesse sono ottime. Con lui, nel reparto guardie titolare, ci sarà J.J. Redick, uno dei migliori tiratori in circolazione, capace di unire esperienza e freddezza sul parquet ad una tecnica di tiro da manuale. Il suo ingaggio, sicuramente costoso, ma a breve termine (annuale da 23 milioni di dollari) ha il preciso intento di fornire ai tanti giovani una chioccia in spogliatoio, oltre ad una macchina da punti di sicura affidabilità, anche se oramai in parabola calante. Dalla panchina, invece, trovare qualità e buone prestazioni dal backcourt potrebbe essere un problema: McConnell non garantisce abbastanza continuità e rischia di soffrire i suoi 188 cm in determinate occasioni, mentre Pullen, alla prima esperienza NBA, è ancora tutto da testare e potrebbe essere presto destinato alla D-League. Nel ruolo di guardia, Anderson e Luwawu-Cabarrot si divideranno i minuti a disposizione: entrambi sono giovani, ma anche per loro la continuità e la tenuta fisica e mentale sono tutte da dimostrare per uscire dal limbo della mediocrità. Furkan Korkmaz, invece, arriva dall’Anadolu Efes e a tutt’ora sembrerebbe ancora un oggetto misterioso nelle gerarchie di Brett Brown.
Nel reparto ali, invece, l’osservato d’onore è solo uno: Ben Simmons. L’australiano, prima scelta del Draft 2016, è arrivato in pompa magna, come uno dei prospetti più di spessore degli ultimi anni, addirittura da alcuni paragonato a LeBron James. Gli infortuni gli hanno proibito di esordire al primo anno, ma ora sembra pronto a calcare il parquet: si tratta di un’ala capace di impostare, di mettere palla per terra, dotato di grande atletismo, ma soprattutto abilissimo nel chiudere al ferro. L’infortunio gli ha permesso di osservare l’NBA dall’esterno, senza esserne coinvolto, ed il recupero certosino dovrebbe scongiurare future ricadute, ma la fortuna deve essere con lui. Ad uscire dalla panchina, un tiratore puro come Covington, oltre al possibile adattamento di Justin Anderson.
Nel ruolo di ala grande, invece, Brown potrà contare su un paio di esperti del mestiere: Amir Johnson e Kris Humphries, entrambi oltre i 30 anni e reduci dalle rispettive esperienze con Celtics ed Hawks, potrebbero fornire l’ottimo contraltare a Dario Saric, vera sorpresa positiva del 2016/17, e McAdoo, fresco di titolo con i Warriors. Gli ultimi due hanno dalla loro l’entusiasmo della gioventù ed una mente cestitica sopra la media, mentre i primi due conoscono perfettamente il gioco e la lega, e potrebbero mettere a disposizione segreti fondamentali per lo sviluppo dei compagni.
Infine, si arriva al ruolo di centro, con due dei più grandi talenti in circolazione (almeno sulla carta), che non ancora sono riusciti ad esprimersi al meglio: Joel Embiid ha giocato in totale mezza stagione su tre, ma questo è bastato (insieme al suo incontenibile umorismo sui social ed alla sua personalità a dir poco istrionica) per far innamorare di lui la metà degli Stati Uniti. Dal gigante di Yaoundé ci si aspetta tutta la qualità già messa in mostra la scorsa stagione, magari spalmata su un numero di partite e di minuti più incisivo. Tanto passerà dalle condizioni del suo ginocchio. Dietro, Okafor deve trovare tranquillità personale: le sue qualità, soprattutto come rim protector, non sono in discussione, ma nelle sue stagioni in NBA è sempre stato frenato da qualcosa, che siano fattori fisici, personali o ambientali. La sensazione è che debba liberarsi della zavorra per poter finalmente esplodere prima di finire nel dimenticatoio. La convivenza tra i due, già sperimentata, non sembra riuscire a funzionare, ed alla lunga tenerne fuori uno potrebbe diventare un problema.
Dunque, tante, tante promesse a roster per Brett Brown, che si ritroverà a dover mescolare caratteristiche fisiche, tecniche e di comportamento molto varie tra loro. Ovviamente, il sogno della dirigenza di Philly è che tutti possano rendere al meglio in armonia, con Fultz a tirare le fila di un’ideale quintetto stellare (e dall’età media ridicolmente bassa) con Redick, Simmons, Saric ed Embiid. Nella pratica, però, ci sono altissime probabilità che qualcosa possa andare storto. Troppe le variabili, troppi i se ed i ma che pendono sulla testa degli uomini dei Sixers per poter essere fiduciosi al 100%. L’impatto dello stesso Fultz difficilmente sarà negativo, date le “spalle larghe” del prodotto di Washington, ma si tratta comunque di una prima scelta sottoposta alla pressione di partire titolare in NBA dopo una sola stagione di college. Affidare a lui le chiavi è un rischio che potrebbe valere la candela, soprattutto se Embiid e Simmons (sicuramente più “personaggi”) dovessero accentrare le luci dei riflettori fuori dal campo, lasciandolo maturare tranquillamente. Nonostante la presenza di giocatori esperti che hanno vissuto anni in spogliatoi ricchi di tensione, comunque, un’età media così bassa non può far stare tranquilli i tifosi: servirà tanta cautela per evitare casi che possano destabilizzare l’ambiente (come quello di Noel lo scorso anno) o addirittura fratture interne tra tanti giocatori con voglia di far bene e di affermarsi. Coach Brown in questi anni (è sulla panchina dal 2013) ne ha vissute tante, ed oramai è una sicurezza per quanto riguarda la gestione dei giovani, ma questo potrebbe non bastare.
Insomma, dalle parti di Philadelphia si nasconde una bomba ad orologeria, caricata di una mole di giovani talenti che raramente si è vista nella stessa squadra: a fare da bilanciere, però, ci sono diversi di dubbi di natura fisica e tecnica. Cavo blu o cavo rosso, l’esplosione o un gran cilecca, basterà pochissimo per spostare – irrimediabilmente – gli equilibri.