E' dal 2009-2010, anno della Finale di Conference disputata contro i Los Angeles Lakers di Phil Jackson, Kobe Bryant e Pau Gasol (ma anche di Lamar Odom e Derek Fisher), che i Phoenix Suns non partecipano a un'edizione dei playoffs NBA. Esclusione che sembra destinata a ripetersi anche al termine della regular season in corso, perchè l'attuale versione della franchigia dell'Arizona è in fase di assestamento (definirlo rebuilding sarebbe eccessivo, anche perchè non è chiaro quale sia il progetto tecnico che guida l'operato del proprietario Peter Sarver e del general manager Ryan McDonough), zeppa di giovani, alcuni di belle speranze, altri destinati al ruolo di mestieranti NBA.
Nella prima categoria va sicuramente annoverato Devin Booker, vent'anni, prodotto dell'inesauribile serbatoio dei Kentucky Wildcats di John Calipari, attualmente unico giocatore di livello a disposizione di coach Earl Watson. Booker, figlio d'arte, è alla sua terza stagione da professionista, in una lega in cui ha dimostrato prima di saper tirare come pochi altri, poi anche di saper segnare in altri modi (è fresco il ricordo dei 70 punti messi a referto il 24 marzo scorso al TD Garden contro i Boston Celtics), mentre ora deve assicurarsi di essere capace di migliorare lontano dalla palla, come creatore di gioco e in difesa, aspetti della pallacanestro in cui le lacune sono ancora vistose. Con pregi e difetti, tipici di un ragazzo poco più che teenager, Booker rappresenta la principale speranza di resurrezione - non immediata, sia chiaro - di Phoenix, incastonata in una Western Conference dall'alto coefficiente di competitività, in cui un altro anno senza postseason sembra essere l'unico epilogo possibile dell'avventura dei ragazzi di Watson. Eppure nelle ultime stagioni, quelle dalla fine dell'era Steve Nash all'interno di questa fase di transizione, i Suns hanno avuto a disposizione giocatori di livello assoluto, come Goran Dragic e Isaiah Thomas. Due playmaker protagonisti di quest'ultima estate, seppure per motivi diversissimi tra loro, finiti rispettivamente ai Miami Heat e ai Boston Celtics (ora Cleveland Cavaliers) nell'ambito di trade discusse e discutibili. Ecco perchè Booker è talento da non sprecare, da coccolare e far crescere con cura, nella consapevolezza che è già necessario mettergli di fianco giocatori che parlino la sua stessa lingua cestistica. Ciò che ha provato a fare Phoenix all'ultimo Draft, quando la franchigia del deserto ha rifiutato ogni offerta possibile per Josh Jackson, chiamato con la quarta moneta, small forward proveniente dai Kansas Jayhawks. Giocatore poliedrico, duro al punto giusto e buon realizzatore, Jackson sembrava rappresentare il prototipo di prospetto completo che faceva al caso dei Boston Celtics di Danny Ainge, poi irritati con il ragazzo per un appuntamento (mancato) a Sacramento e decisi a prendere un altro aspirante fenomeno come Jayson Tatum.
Un destino da sliding doors per Jackson, che dovrà ora esibirsi alla Talk Stalking Resort Arena di Phoenix, negli ultimi anni palcoscenico per pochi intimi, dato l'andamento complessivo della squadra di casa. Il suo contributo sarà determinante non per il destino dei Suns edizione 2018, che - come accennato - non si avvicineranno ai playoffs, ma per il futuro della franchigia, in cerca di informazioni utili sui prossimi giocatori cui fare affidamento. Tra i quali non c'è Brandon Knight, point guard già k.o. per un grave infortunio al ginocchio, che costringerà coach Earl Watson (nel suo staff anche due ex head coach NBA come Tyron Corbin e Jay Triano) a puntare su Tyler Ulis come backup di Eric Bledsoe, leader di una squadra estremamente giovane. Se Bledsoe non è propriamente un playmaker in senso stretto, bensì una realizzatore con la palla sempre in mano, Ulis (21 anni) si avvicina di più alle caratteristiche dell'uomo che sa coinvolgere i compagni, in un sistema di penetra e scarica che dovrebbe favorire anche i tiratori. Resta però la difficoltà di individuare per i Suns un sistema di gioco ben riconoscibile: la direttiva principale in attacco sarebbe quella di correre in transizione e di sfruttare Booker a metà campo, ma i disastri difensivi combinati lo scorso anno hanno sinora impedito di veder concretizzati i concetti di gioco di Watson e soci. Come accade anche per altre squadre che tendono a cercare di ricostruire, l'apporto dei veterani in quel di Phoenix è pressochè nullo: eccezion fatta per Tyson Chandler, centro sul viale del tramonto, e per lo swingman Jared Dudley, il roster non comprende giocatori di età superiore ai trent'anni (solo Elijah Millsap è un classe 1987), ma si divide anzi in due ulteriori sottocategorie. Ci sono i classe 1993 come T.J. Warren, uomo di energia dalla panchina, esterno la cui dimensione non è ancora chiara, e come Alan Williams, lungo di movimento e fisicità, rifirmato con un triennale da 15 milioni di dollari complessivi, e i giovanissimi (venti o ventuno anni appunto). Non solo Booker, ma anche Marquese Chriss, al secondo anno da professionista, altro giocatore in cerca di una più nitida collocazione tecnica, Dragan Bender, croato scelto alla numero quattro al Draft del 2016 e sinora oggetto misterioso, e Derrick Jones, atleta clamoroso ma cestista tutto da costruire.
Resta infine da scoprire quale sarà il futuro di Alex Len, sulla carta centro titolare della squadra, che non ha però ancora accettato la qualifying offer di McDonough, 4.1 milioni di dollari. L'obiettivo dei Phoenix Suns edizione 2017-2018 sarà quello di migliorare il record dello scorso anno, un 24-58 che ha relegato la franchigia tra i bassifondi non solo della Western Conference, ma dell'intera NBA. Un'altra stagione di transizione dunque, nella quale non potranno però essere sufficienti solo le performances offensive di Devin Booker per sperare in un futuro migliore.