Ennesimo fulmine a ciel sereno di questa pausa estiva e autunnale del campionato NBA, che, oltre ad uno dei draft più seguiti degli ultimi anni, ha regalato movimenti di portata inimmaginabile che potrebbero avere un forte effetto sullo spostamento degli equilibri dell’intera lega. Stiamo parlando ovviamente della trade, ufficializzata nelle ultime ore, che ha visto Carmelo Anthony lasciare i suoi New York Knicks, per accasarsi ad Oklahoma City, in cambio di Enes Kanter, Doug Mcdermott e una second round pick. Battuta la concorrenza di Houston, squadra per la quale Melo ha in prima persona spinto per il trasferimento, che tuttavia non è mai stata capace di trovare un accordo, nell’ennesima trade lampo intavolata dal general manager Sam Presti, non nuovo ad operazioni simili per accaparrarsi superstar. Il riferimento è chiaramente allo scambio che quest'estate ha portato Paul George tra le file di OKC, operazione del tutto comparabile a quella per Anthony, in cui l’ex stella di Indiana, dopo essere stato accostato a varie franchigie, ha preso la via per lo stato dell’Oklahoma, in un accordo assolutamente vantaggioso per i Thunder.
Un lavoro indubbiamente notevole quello portato avanti da Presti e la dirigenza Thunder, che ha permesso a solo una stagione di distanza dall’addio di Kevin Durant e un campionato di transizione comunque condito dalla post season conquistata, di annettere nuovamente un enorme ammontare di talento che possa permettere a Westbrook e compagni di tornare ai livelli raggiunti nel precedente ciclo. E sicuramente dal lato tecnico come dar torto al front office dell’ex franchigia di Seattle, uscita nettamente vincitrice da entrambe le operazioni, anche privandosi di ottimi elementi, come Victor Oladipo per George o Enes Kanter per Anthony, ma con l’acquisizione di due all-star capaci di spostare sensibilmente gli equilibri a favore della squadra allenata da Billy Donovan, che quest’anno si presenta ai blocchi di partenza con una potenza di fuoco davvero invidiabile. Come spessissimo succede nel mondo NBA, tuttavia, non è tutto oro quel che luccica: nella storia sono state tante le squadre notevolmente rinforzate dopo le finestre di mercato estive, che alla fine si sono rivelate nulla di più che un’accozzaglia di talenti mal assortiti che non hanno soddisfatto le enormi aspettative e OKC potrebbe, in percentuale ancora ignota, rientrare proprio in questa categoria. L’mvp in carica Russell Westbrook, Paul George e Carmelo Anthony formano un tandem dal potenziale infinito, ma anche dall’equilibrio molto labile, essendo di fatto tre giocatori abituati a tenere la palla in mano e a creare per se stessi dal palleggio, in isolamento e nell’uno contro uno, avendo ricoperto per anni i ruoli di prime stelle nelle rispettive squadre. Proprio per questo motivo sarà importante trovare fin da subito un equilibrio di squadra solido fondato su gerarchie e ruoli ben definiti, che necessiterà inevitabilmente della disponibilità di tutte le parti in gioco, oltre che di un lavoro complesso e certosino da parte di Donovan e il suo staff. Ad Anthony verrà sicuramente richiesto un ruolo lontano da quello di primo violino che è sempre stato abituato a ricoprire, riducendo all’osso le situazioni di isolamento per lui, richiedendogli maggiormente un’interpretazione da gregario di lusso, da giocatore catch and shoot, in grado anche di costruirsi il tiro da solo, ruolo che ha varie volte ricoperto in nazionale. Discorso analogo per PG13, il quale probabilmente rivestirà il ruolo di secondo al comando, alle spalle di Westbrook, ma che dovrà in un certo senso tornare alle origini, periodo in cui il prodotto di Fresno State era considerato uno specialista difensivo d’elite, aspetto del suo gioco sempre rimasto su alti livelli, ma in certi momenti trascurato in favore del suo miglioramento come scorer. Due modifiche a due modi di interpretare la pallacanestro che non saranno semplici da esprimere, ma che si rivelano necessari per gli equilibri offensivi e difensivi dei Thunder. Delicato sarà anche l’inserimento di un così elevato quantitativo di talento offensivo in un sistema di gioco che, nella scorsa stagione, vedeva tra le sue file molta manovalanza sotto questo aspetto, con il solo Russel Westbrook al proscenio.
Parallelamente alla questione tecnica vi è un aspetto ben più criptico e nascosto, ma non per questo meno importante, che è quello economico e salariale, ma prima di entrare nel dettaglio e scoprire pro e contro di queste trade analizziamo qualche dato partendo proprio dalla trade che ha coinvolto Anthony: all’interno di questo scambio i Thunder hanno assistito alla partenza di Enes Kanter, detentore di un contratto a 18 milioni circa a stagione, in scadenza nel 2019, e di Doug McDermott che porta a New York il suo contratto da poco più di 3 milioni a stagione, in scadenza nella prossima estate. In cambio hanno ricevuto Anthony e il suo contratto da 26 milioni a stagione che potrebbero diventare 27 nella prossima, tramite player option, una cifra che aggiunge 4-5 milioni di dollari al monte salari dei Thunder già non bassissimo. Altro aspetto fondamentale da considerare è la situazione dei contratti del neonato terzetto di punta della squadra dell’Oklahoma, un terzetto che, ovviamente con cifre diverse, si ritrova in una situazione piuttosto uniforme, con tutti i membri dei nuovi big three che potranno usufruire o meno nell’estate prossima di una player option per la stagione 2018-19, con una scadenza di contratto definitiva datata estate 2019. Questo disegno di fondo comporta di fatto poca tranquillità per la dirigenza Thunder che, già dalla prossima estate, potrebbe veder dissolto il frutto del lavoro portato avanti in questa, per varie motivazioni, che concernono la ricerca di un ingaggio più elevato anche altrove, oppure la volontà di cimentarsi in un altro contesto, ritenuto più competitivo di Oklahoma City. Quest’ultimo aspetto sta alla base del progetto Thunder, che alla luce di questi fatti assume sempre più i connotati di una scommessa, ovvero la competitività della squadra. Quale elemento potrebbe avere il ruolo di deterrente per un’eventuale diaspora al termine della stagione imminente o di quella successiva? La risposta è semplice, la vittoria, o le chance di arrivare ad ottenerla nel breve periodo. Se la squadra di Billy Donovan dimostrasse fin da subito, in questa stagione regolare e successivamente ai playoff, di poter ambire, se non immediatamente al Larry O’ Bryen Trophy, comunque ad uno spot di vertice all’interno del ranking NBA, raggiungendo le finals o giocandosi l’accesso ad esse nelle finali di conference, il trio di punta riceverebbe dal campo, per forza di cose, nuovi e forti stimoli che spingerebbero a portare avanti un progetto che ha dimostrato di poter essere vincente. Una stagione molto positiva fornirebbe più incentivi al gruppo per adeguarsi anche a livello salariale per rendere possibile il prosieguo di questo processo di crescita in maglia bianca, azzurra e arancio, anche dopo la tappa obbligata del rinnovo monstre di Westbrook, atteso alla firma del suo nuovo contratto da 207 milioni spalmati in cinque anni entro il 16 ottobre, che comunque rappresenterebbe un messaggio importante rivolto agli altri due componenti del terzetto (che conseguentemente potrebbero abbassare pretese su un rinnovo troppo oneroso), di volontà del leader massimo di portare avanti la causa per il primo titolo della franchigia guidata da Sam Presti.
Le variabili comunque rimangono molteplici e l’equilibrio che cementa questo progetto tecnico e societario rimane sempre più precario e per certi versi imperscrutabile, con l’imperativo di rendere ad alti livelli fin da subito e lanciare un messaggio a tutta la lega: gli Oklahoma City Thunder sono pronti a riprendersi un posto tra le primissime compagini ad ovest. Servirà completa disponibilità, abnegazione e tanta lungimiranza da parte di tutte le parti in gioco, con pochissimo margine di errore per una supercar al momento saldata con la colla vinilica, per usare una metafora, e che necessita immediatamente di solidità conquistabile solo sul campo. “Now or never”, ora o mai più, questo dovrebbe essere la forma mentis dei componenti del roster di OKC, non necessariamente intesa come vittoria obbligata, ma come rendimento di alto livello necessario fin dalle prime battute di regular season, in una stagione che rappresenta un crocevia davvero importante per la sorte della franchigia. Un bivio di strade parallele, con una che conduce ad un’esperienza fallimentare ed estemporanea, che potrebbe durare al massimo fino al 2019, e l’altra che sancirebbe l’inizio di un progetto vincente e duraturo e tra i migliori dell’intero panorama cestistico americano, nonostante l’agguerritissima concorrenza soprattutto nella western conference.