Si stanno chiudendo in questi giorni i sei anni e mezzo di permanenza di Carmelo Anthony ai New York Knicks. Un matrimonio celebrato in pompa magna nell'inverno 2011, dopo una discussa trade con i Denver Nuggets, un connubio che però non ha mai realmente funzionato, per diversi ordini di motivi. I sostenitori di Melo mettono l'accento sulla bassa competitività dei vari roster che si sono succeduti lungo questo arco di tempo, i suoi detrattori insistono sull'incapacità del prodotto da Syracuse di essere un leader tecnico riconosciuto, in una franchigia lontana dai playoffs ormai dal 2013.
Troppi isolamenti, è stato questo il refrain degli anni newyorchesi di Anthony, che aveva già evidenziato questa sua tendenza a tenere fermo il pallone durante gli esordi ai Nuggets (nonostante George Karl lo esortasse a far parte di un sistema di continuità offensiva). Non sono bastati cambi di frontoffice, di coaching staff, con tanto di traghettatori e allenatori alle prime armi, per cambiare le abitudini di Carmelo, spesso isolato su un quarto di campo, gran realizzatore, passatore sottovalutato perchè mai sperimentato, difensore inesistente. Le difficoltà dell'ambiente dei Knicks, ormai croniche e gravissime, hanno fatto il resto, addossando il peso della responsabilità dei successi e soprattutto degli insuccessi di un'intera franchigia su un giocatore che non poteva esserne il leader tecnico ed emotivo. Melo è stato però la faccia della franchigia, la foglia di fico dietro la quale nascondere i disastri del proprietario James Dolan, dei vari dirigenti e allenatori. Fino a questo week-end, quando il cordone ombelicale tra le due parti in causa è stato tagliato. Convinto di rimanere fino a pochi mesi fa, Anthony ha cambiato idea tra la primavera e l'estate, estenuato dalle bordate rifilategli da Phil Jackson (a sua volta silurato da Dolan in luglio), chiedendo a più riprese di essere ceduto agli Houston Rockets, per raggiungere James Harden e Chris Paul alla corte di Mike D'Antoni (uno dei tanti allenatori avuti al Madison Square Garden). Richiesta respinta, perchè sia Steve Mills (nuovo presidente) che Scott Perry (fresco general manager) non hanno accettato di accollarsi il contratto di Ryan Anderson, da oltre venti milioni a stagione. Rockets o non Rockets, la situazione si è protratta fino a farsi insostenibile negli ultimi giorni, con il giocatore disposto a tagliare la no trade clause presente nel suo contratto anche per altre franchigie, come i Portland Trail Blazers, i Cleveland Cavaliers e gli Oklahoma City Thunder.
Proprio i Thunder del general manager Sam Presti l'hanno spuntata sulle rivali nella corsa al numero sette, riuscendo peraltro ad acquisirlo a condizioni apparentemente molto vantaggiose. Doug McDermott ed Enes Kanter, due panchinari del roster di coach Billy Donovan, più una seconda scelta al prossimo Draft, la contropartita per assicurarsi Carmelo. Secondo capolavoro estivo di Presti, dopo quello compiuto per arrivare a Paul George, prelevato dagli Indiana Pacers in cambio di Victor Oladipo e Domantas Sabonis. Da parte loro, i Knicks scaricano un contratto pesante, da 54 milioni di dollari nei prossimi due anni, e puntano su due giocatori relativamente giovani, come il turco Kanter e il tiratore McDermott, entrambi venticinquenni. Una mossa salariale forse, più che di prospettiva, indotta dal pasticcio estivo combinato con Tim Hardaway Jr, cavallo di ritorno a cui è stato accordato un quadriennale complessivo da 73 milioni di dollari. Ora la priorità di New York sarà quella di trattenere Kristaps Porzingis, il fenomeno lettone in scadenza tra due stagioni, mentre a questo punto l'annata che sta per prendere il via non sembra poter avere epilogo diverso da quella dell'anonimato. Troppi giovani che hanno tutto da dimostrare, a partire dal rookie francese Frank Ntilikina, passando per uno dei suoi backup Ron Baker e per il lungo spagnolo Willy Hernangomez. I vari Courtney Lee, Lance Thomas, Kyle O'Quinn e Ramon Sessions portano esperienza in un roster quantomeno alternativo, con Michael Beasley nel ruolo di variabile impazzita. Resta sullo sfondo l'incognita Joakim Noah, principale errore di Phil Jackson nella sua esperienza ai Knicks: il francese ex Bulls è ancora ai box per infortunio, e il suo contratto pesa a bilancio per 45 milioni nei prossimi tre anni. Attualmente una palla al piede per New York, che per questo motivo ha virato su Enes Kanter, ricevendo inoltre anche il mai sbocciato Doug McDermott, altro ex giocatore di Chicago che dovrà ripartire quasi da zero, proprio come i Knicks.