Giocatore discusso, amato e idolatrato da molti appassionati di pallacanestro, mai pienamente compreso da altri, Tracy McGrady è da stanotte un nuovo membro della Naismith Memorial Basketball Hall of Fame di Springfield, Massachusetts, l'empireo dei grandissimi dello sport con la palla a spicchi. Un riconoscimento che non ha trovato tutti d'accordo, in particolare per le poche vittorie di squadra ottenute in carriera da T-Mac, ma che va letto come un tributo all'eleganza e al talento di un giocatore davvero unico. 

Dopo un'avventura NBA caratterizzatasi soprattutto per le esperienze con gli Orlando Magic e gli Houston Rockets, McGrady è oggi un analista televisivo della prestigiosa emittente Espn, e per mesi ha fatto fatica a credere di essere davvero entrato nell'élite della Hall of Fame. Fino alla cerimonia di ieri, in cui si è lasciato andare alle emozioni e ha accettato un riconoscimento che vale una carriera, ciò per cui giocano centinaia di atleti di pallacanestro: "Sì, merito di essere qui - le parole di T-Mac, nell'ambito di un discorso durato quasi dieci minuti - voglio ringraziare mia moglie, CleRenda, che già a febbraio, quando furono annunciati i finalisti di quest'anno, mi implorò - eravamo in un ascensore - di guardarmi allo specchio e di dire a me stesso che meritavo di essere un Hall of Famer. Evidentemente in quell'ascensore mia moglie sapeva qualcosa su di me che io non avevo ancora la forza di ammettere di gridare forte. C'era una ragione se mi stava chiedendo di guardarmi allo specchio per farmi dire che lo meritavo, e c'era una ragione anche per cui io non ci riuscivo. Avevo in testa un numero imprecisato di pensieri che mi inducevano a ritenere di non meritare questo riconoscimento. Ho cominciato a pensare a tutti questi grandi personaggi della storia NBA, che nelle rispettive carriere avevano ottenuto risultati eccezionali. Poi ho provato a paragonarmi a loro. E' stato fin troppo facile rendersi conto di ciò che loro avevano raggiunto, mentre io non ero stato in grado di farlo. Ma adesso sono grato a quelle persone che hanno visto qualcosa in me, hanno creduto in me, mentre forse io non hai creduto davvero in me stesso". 

McGrady racconta poi un aneddoto circa la sua partecipazione a un Adidas camp del 1996, in cui era presente anche Lamar Odom, nel quale gli venne data l'ultima maglietta disponibile, la numero centosettantacinque: "Sono stato l'ultimo ragazzo a entrare in quel camp - le parole di McGrady, riportate da Chris Forsberg di Espn - lì nessuno aveva una vaga idea di chi fossi. Ma il manager Adidas Sonny Vaccaro mi diede una possibilità, e da lì in poi ho giocato contro i migliori giocatori al mondo di quell'epoca. Lasciai il camp da numero uno, dopo esserne entrato da numero centosettantacinque". Non solo McGrady nella classe 2017 della Hall of Fame di Springfield, ma anche altri dieci personaggi che hanno fatto la storia della pallacanestro, come Jerry Krause, deceduto solo pochi mesi fa, storico general manager dei grandi Chicago Bulls di Michael Jordan e Phil Jackson, Bill Self, coach dei Kansas Jayhawks nel campionato NCAA (presente anche Andrew Wiggins, prima scelta assoluta al Draft del 2014, oggi giocatore dei Minnesota Timberwolves), George McGinnis, sei volte All-Star e due volte campione ABA, in back to back con gli Indiana Pacers, nel 1972 e nel 1973, Muffet McGraw, coach della squadra femminile di Notre Dame, Mannie Jackson e Zack Clayton, ex componenti degli Harlem Globetrotters, la stella europea Nikos Galis, l'allenatore di high school a Texas Robert Hughes, Tom Jernstedt, ribattezzato "il padre delle Final Four", e Rebecca Lobo, ex giocatrice di University of Connecticut (UCONN), poi professionista nella WNBA.