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NBA, l'anno zero degli Indiana Pacers

Salutato Paul George, la franchigia di Indiananapolis si prepara a ripartire da zero. Poche certezze, qualche giovane di talento.

NBA, l'anno zero degli Indiana Pacers
Myles Turner. Fonte: R Brent Smith/Associated Press
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Di Andrea Russo Spena

Rebuilding. Difficile immaginare una parola più abusata di questa nel gergo NBA, spesso utilizzata a sproposito o in maniera frettolosa. E' invece il termine (anglicismo) che meglio si adatta alla situazione che stanno vivendo gli Indiana Pacers, costretti a voltare pagina dopo anni di continuità ad alti e medi livelli. Due volte in finale di Conference sotto la guida di Frank Vogel, nel 2012 e nel 2013, in entrambe le occasioni piegati dai Miami Heat di LeBron James, i Pacers hanno ormai perso ogni elemento che caratterizzava quella squadra di lotta e di governo: dall'allenatore al presidente (un certo Larry Bird), fino al quintetto titolare del roster, eccezion fatta per Stephenson, tornato a inizio 2017.

George Hill, David West e Roy Hibbert. Fonte: Issac Baldizon/Getty Images
George Hill, David West e Roy Hibbert. Fonte: Issac Baldizon/Getty Images

Addio, graduale, a Roy Hibbert, David West, Lance Stephenson, Paul George e George Hill, protagonisti di un'era di battaglie e sfide memorabili con Miami, nell'inferno della Bankers Life Fieldhouse di Indianapolis. Non sfruttata nemmeno una delle due occasioni di giungere alle NBA Finals, con James a dire sempre di no, i Pacers hanno provato, nelle ultime stagioni, a modificare il loro sistema di gioco, imperniato su due lunghi tradizionali come Hibbert e West, per adottarne uno in grado di velocizzare le azioni di attacco. Tentativo fallito, perchè tutti gli esperimenti successivi, sia con Vogel che poi con McMillan in panchina, non hanno riportato Indiana ai vertici della Eastern Conference, assestandola piuttosto tra le squadre che lottavano stabilmente per una delle ultime monete utili ad approdare ai playoffs. E' iniziata così una lenta ma inesorabile diaspora da Indianapolis, che ha visto coinvolti prima il cavallo pazzo Stephenson, poi i due lunghi e George Hill, infine Paul George, ultimo a salutare la compagnia, dopo essere dovuto rimanere fermo per la quasi totalità della stagione 2014-2015 (grave infortunio patito con la maglia di Team USA). In scadenza di contratto nel 2018, PG13 ha reso noto a inizio estate di non avere intenzione di rinnovare: di qui la scelta, presa dal nuovo presidente Kevin Pritchard, di scambiarlo con gli Oklahoma City Thunder, dai quali sono invece giunti Victor Oladipo e Domantas Sabonis, a completare un paio di caselle sguarnite, ma non certo a rendere più competitivi i Pacers, tra i principali candidati al tanking della prossima stagione. E' rimasto in sella invece Nate McMillan, coach di grande esperienza - ex, tra gli altri, anche dei Portland Trail Blazers - chiamato a gestire la difficile transizione tra un passato recente che significava comunque playoffs e un futuro prossimo tutto da scoprire ed esplorare. Già, perchè nel roster di Indiana manca un leader, ruolo ricoperto fino a un mese fa da Paul George, mentre al momento la squadra è rappresentata da una serie di giocatori giovani, con l'eccezione di un paio di veterani, come Al Jefferson e Darren Collison, arrivato via free agency dai Sacramento Kings.

Nate McMillan e Paul George. Fonte: Joe Robbins/Getty Images
Nate McMillan e Paul George. Fonte: Joe Robbins/Getty Images

Difficile immaginare quale sarà il nuovo volto della franchigia nella traversata del deserto che la attende. Il principale candidato a uomo trascinatore, quantomeno dal punto di vista tecnico, è Myles Turner, al terzo anno da professionista e dal 2019 restricted free agent. Centro di ventuno anni, Turner è espressione del nuovo corso NBA: tiro perimetrale (meglio nel range da long two che dall'arco) e poco gioco in post, anche se il talento, in parte già intravisto, è tutto da sviluppare, per un giocatore che dovrà salire velocemente di colpi, per poter contribuire degnamente alla causa. Il reparto lunghi è completato dal già citato Jefferson, usurato e logoro, da Thaddeus Young, power forward di energia, dal francese Kevin Seraphin, dal lituano Domantas Sabonis e dal rookie T.J. Leaf. Proprio le caratteristiche tecniche di Sabonis hanno fatto piovere critiche sulla testa di Pritchard, reo di aver scambiato George per un giocatore in buona misura simile a Turner. 21 anni, il figlio d'arte del Principe del Baltico ha alle spalle una sola stagione NBA ai Thunder, utilizzato come stretch forward, quattro che apre il campo, con risultati alterni. La sua evoluzione come lungo a tutto tondo sarà una delle chiavi della risalita dei Pacers, anche perchè al Draft è stato scelto un altro lungo tiratore, proprio Leaf, da UCLA. Con Sabonis è giunto da OKC Victor Oladipo, protagonista ai tempi del college a Indiana, e ora punto di riferimento della squadra, dopo una stagione trascorsa al fianco di Russell Westbrook. Sarà l'ex Magic uno dei trattatori di palla di McMillan, insieme a Collison e al canadese Cory Joseph (via il tiratore C.J. Miles per lui, direzione Toronto), una volta tagliato Monta Ellis. Meno palla in mano, ma più punti a disposizione invece per il croato Bojan Bogdanovic, small forward in uscita da Washington, uno dei pochi giocatori di esperienza che completano il roster. Sì, perchè i vari Joseph Young, Glen Robinson e Ike Anigbogu hanno poca (o nessuna, nel caso di Anigbogu) esperienza NBA. Quella che non dovrebbe mancare a Lance Stephenson, non esattamente l'uomo su cui puntare per un processo di ricostruzione che si preannuncia lungo e tortuoso per i nuovi Indiana Pacers.