Tre NBA Finals consecutive, con due titoli conquistati nel 2015 e nel 2017. E' questo il bilancio da capo allenatore dei Golden State Warriors di Steve Kerr, architetto di un fantastico sistema di pallacanestro, un mix perfettamente riuscito tra diverse opzioni offensive, nell'ambito di una mentalità inclusiva, tipica della costa occidentale degli Stati Uniti d'America.

Mike Brown e Steve Kerr. Fonte: Ezra Shaw/Getty Images

Un Kerr che recentemente ha però dovuto affrontare seri problemi di salute. La ciclica fuoriuscita di liquido spinale dalla colonna vertebrale - conseguenza di un'operazione alla schiena che non ha avuto gli effetti sperati - lo ha costretto addirittura a fermarsi, all'inizio della serie di primo turno di playoffs contro i Portland Trail Blazers, per riapparire in panchina solo in gara-2 delle NBA Finals contro i Cleveland Cavaliers. Ecco perchè i dubbi sul suo futuro aleggiano tra appassionati e addetti ai lavori. E' però lo stesso Kerr a spazzarli via, intervenendo nello Zach Lowe Podcast su Espn: "Ho intenzione di allenare ancora a lungo - le parole dell'ex giocatore di Chicago e San Antonio - amo il mio lavoro, adoro questo gruppo di giocatori, adoro la possibilità di allenarli ogni giorno, ed è esattamente ciò che voglio fare per tanto tempo. L'idea è questa, quindi non mi resta che continuare a provarci e a guardare al domani". Un Kerr che si esprime anche sul titolo appena vinto dai suoi ragazzi, ribadendo quanto già espresso durante l'intervista a bordo campo al termine di gara-5 delle Finals: "La differenza la fanno il talento e la dedizione, un mix molto raro da riscontrare in una lega come l'NBA. Nel nostro caso è accaduto che un gruppo di simile talento si sia integrato alla perfezione. E' una situazione talmente rara che sono perfettamente consapevole di quanto sono fortunato". Due dunque gli obiettivi di Kerr, continuare ad allenare i Warriors, e mantenere intatto il cuore pulsante della sua Golden State, squadra che ha in scadenza giocatori del calibro di Stephen Curry, Andre Iguodala e Shaun Livingston (certa la permanenza di Kevin Durant, che ha già dichiarato di voler esercitare la player option prevista in suo favore). 

Steve Kerr. Fonte: Nick Wass/Associated Press

Altro argomento caldo delle ultime ore riguarda la futura - e a questo punto eventuale - visita alla Casa Bianca, tradizionale appuntamento della regular season successiva alla stagione del titolo. Da qualche mese l'inquilino della White House è personaggio poco gradito al mondo NBA, in particolar modo ai giocatori. Ecco perchè, subito dopo la conquista del Larry O'Brien Trophy, si sono sparse voci che volevano i Warriors pronti a saltare l'appuntamento presidenziale a Washington D.C. In realtà la franchigia californiana ha stoppato le indiscrezioni al riguardo, facendo trapelare che nessuna decisione in materia sia ancora stata presa. Si adegua alla linea ufficiale anche coach Kerr, che si esprime così su una questione spinosa e di estrema attualità: "Non abbiamo deciso assolutamente nulla, tutte le voci uscite al riguardo sono false. Forse un paio di giocatori possono aver risposto a qualche domanda su quest'argomento: mi riferisco ad Andre Iguodala, Draymond Green e David West, ma non abbiamo mai discusso di questa possibilità durante la stagione. Ovviamente sarebbe stato prematuro, e anche inadeguato dal punto di vista scaramantico. Vi garantisco che dopo gara-5 tutto ciò era l'ultimo dei nostri pensieri. Stavamo solo festeggiando e godendoci il momento. Immaginate la scena: io che entro negli spogliatoi e chiedo ai giocatori di fermare i festeggiamenti per chiedere di mettere ai voti la decisione di andare o meno alla Casa Bianca. Sarebbe stato folle, non è accaduto, ci stavamo divertendo troppo per pensare ad altro. E' un problema che ci porremo quando riceveremo un invito ufficiale. C'è da tenere in considerazione il rispetto per le istituzioni, per la funzione svolta, per il nostro governo, a prescindere dalle opinioni che le persone possono avere riguardo al presidente in carica. Tutto questo è importante, ma lo è altrettanto conoscere la posizione dei giocatori, perchè in definitiva spetta a loro prendere la decisione se andare o meno alla Casa Bianca".