Se è vero che il 4-1 subito alle NBA Finals 2017 contro i Golden State Warriors non racconta dell'equilibrio vissuto in campo grazie a due grandissime squadre, è altrettanto indubbio che una serie finale conclusasi in cinque gare lascia ai Cleveland Cavaliers parecchio materiale su cui riflettere. Non tanto per ciò che concerne il futuro, che ci sarà occasione di analizzare con le mosse in offseason del frontoffice (senza David Griffin?), quanto piuttosto per l'impatto con queste Finals dei campioni della Eastern Conference. 

LeBron James e Kevin Love. Fonte: Kyle Terada-USA TODAY Sports

Già, la Eastern Conference. E' quello il contesto di provenienza di Cleveland. Mai dimenticarlo, perchè il fronte orientale dell'NBA è mediamente meno competitivo di quello occidentale. E quest'anno i Cavs hanno affrontato la regular season con un atteggiamento a lungo vacanziero, chiudendo al secondo posto del ranking, con un non invidiabile record di 51-31 (lo stesso dei Toronto Raptors, poi strapazzati), alle spalle dei Boston Celtics di Brad Stevens. I campioni 2016, che pure non si sono fatti scrupoli nel dare forse fin troppi minuti a LeBron James in stagione regolare, non si sono stracciati le vesti per aver perso la prima moneta ad Est. E i fatti hanno dato loro ragione, perchè nelle Finali di Conference i biancoverdi di Boston sono stati spazzati via in cinque gare, sebbene avessero il vantaggio del fattore campo. Da Boston a Oakland il passo è stato però lunghissimo, sia in termini geografici che cestistici. L'aver giocato dei playoffs in cui - a prescindere dalla qualità degli avversari - il ritmo era sensibilmente più basso di quello tenuto dall'altra parte degli States non ha aiutato. Ecco spiegato lo svolgimento delle prime due gare alla Oracle Arena contro i Warriors della coppia Steve Kerr-Mike Brown. Una gara-1 trascorsa a comprendere quale "nuova" squadra si trovasse di fronte (con Kevin Durant decisivo sui due lati del campo), una gara-2 con aggiustamenti e contromisure, tuttavia non sufficienti ad evitare il 2-0, score con cui la serie ha preso la via dell'Ohio.

LeBron James e Kevin Durant. Fonte: Kyle Terada-USA TODAY Sports

Da lì in poi, come correttamente fatto notare da coach Tyronn Lue, il divario tra Cleveland e Golden State è diminuito, ma stavolta recuperare lo svantaggio iniziale è risultato impossibile a LeBron e compagni, che in gara-3 hanno alzato il livello del loro gioco, lottato a lungo punto a punto, fino a giocarsi la sfida nel finale, forse complice anche la tensione che attanaglia chi sa di non avere margini di errori. Sotto 3-0, gara-4 è stata invece perfetta per aggressività, intensità e precisione balistica, una desperation game, come perfettamente sintetizzato da Steve Kerr. Il punto della consolazione, con il senno di poi, perchè al ritorno ad Oakland i Warriors non hanno fatto prigionieri. Dopo un avvio esitante, ecco un parziale di 17-2 (24-4 complessivo) nel secondo quarto che ha lanciato in orbita i Dubs, costretto gli ospiti a inseguire per il resto della partita, fino ad arrendersi alla maggior freschezza avversaria in un finale a folate. Il minutaggio di LeBron James rimarrà uno degli argomenti più caldi di queste Finals. Il Prescelto è stato praticamente sempre in campo per Tyronn Lue, senza alternative al suo numero 23. Ecco un ulteriore handicap per Cleveland: mentre Golden State trovava linfa dalla sua panchina (West, ma anche McGee, Clark, McCaw, per non parlare di Andre Iguodala), i Cavs non hanno saputo sopperire neanche ai quei pochi attimi di riposo del loro leader, nonostante avessero completato il loro roster proprio a questo scopo (come dimenticare le acquisizioni dei vari Deron Williams, Derrick Williams e Kyle Korver?). Troppo importante l'unicità di LeBron nel gioco di Cleveland. Senza il Re, le altre pedine della scacchiera si sono sentite perse: varrà la pena riflettere anche su questo punto, perchè James non ha alcuna intenzione di veder peggiorare il suo record di tre vittorie e cinque sconfitte alle NBA Finals.