Uno scricchiolio, seppur leggero, impercettibile all'apparenza, è pur sempre uno scricchiolio e come tale va considerato, analizzato e, soprattutto, preso con le molle. In casa Golden State Warriors, dopo il rotondo e confortante vantaggio di 3-0, tutto sembrava filare per il verso giusto verso il ritorno sul gradino più alto del podio, verso la conquista del secondo Larry O'Brien Trophy nel giro di tre anni. Prevedibile, alla vigilia della decisiva gara 4 per i Cleveland Cavaliers, una reazione d'orgoglio, di nervi, così come è stata; altrettanto auspicabile, dopo circa centocinquanta minuti giocati ad intensità massima, un leggerissimo calo psicologico e fisiologico da parte dei ragazzi di coach Steve Kerr, travolti dalle clamorosissime percentuali dei Cavs nel primo tempo, ed in particolare nei primi 12 minuti.
Ciò che tuttavia non era prevedibile, era la reazione quasi frustrata da parte di alcuni protagonisti dei Warriors, che ampiamente in vantaggio nella serie, tecnicamente, tatticamente e soprattutto mentalmente, si sono fatti invischiare nella idea di battaglia e di bagarre da parte dei Cavaliers. In primis, come già accaduto in passato, Draymond Green, caduto nella trappola dei padroni di casa e reo di aver contribuito con un paio di giocate senza alcun senso - e necessità - ad accendere il fuoco sacro negli occhi e nell'animo di Cleveland. Atteggiamento più dannoso che utile, soprattutto per i compagni di squadra, che ha incentivato nervosismo e carica adrenalinica dei rivali. Quello degli ospiti, inoltre, è sembrato un piglio alquanto rilassato - fin troppo - sin dal principio, soprattutto nei protagonisti più attesi: Curry non è mai riuscito a prendere ritmo ed entusiasmo nel primo quarto, senza mai calarsi nella realtà della lotta, Durant ha provato a tenere a galla con le sue classiche giocate i suoi, ma l'asfissiante lavoro di Richard Jefferson, unito ad un furore agonistico tutt'altro che massimale, non ha pagato i dividendi sperati.
La reazione, in corso d'opera, c'è sì stata, ma non è mai servita ad impensierire la leadership dei Cavs e lo stato di onnipotenza assoluta di Irving e soci. Questione di energia, di voglia, di intensità, che hanno fatto pendere l'ago della bilancia in favore degli inseguitori. Cleveland voleva e doveva provare a vincere quantomeno una partita, per insinuare un ragionevole, seppur minimo, dubbio nelle menti dei Warriors. Operazione riuscita, in attesa di scoprire quale sarà la reazione di Golden State davanti al pubblico amico. Di sicuro il fattore psicologico, diventa ancor più determinante quando la stanchezza fisica prevale sulla ragione e la lucidità ed influisce nelle menti dei protagonisti, che a distanza di dodici mesi si ritrovano in vantaggio per 3-1 nella serie finale.
Tutti, dal primo all'ultimo dei tifosi dei Warriors, prova a tenere chiuse a doppia mandata le ante dell'armadio dove i primi fantasmi iniziano a bussare, provando a cambiare argomento quando si guarda a quanto accaduto un anno fa. Stesso discorso proveranno a farlo, nello spogliatoio, i Warriors, che con un Durant in più hanno la consapevolezza che gara 5 più che rappresentare una pivotal-game decisiva assomiglia sempre più ad una finale secca che Curry e compagni non possono e non devono assolutamente sbagliare per evitare di rientrare in un tunnel dal quale uscirne sul 3-2 sarebbe clamorosamente difficile.