Il verdetto di Gara 1 delle NBA Finals è già incastonato negli archivi storici, netto, perentorio, senza apparente diritto di replica alcuno. I Golden State Warriors travolgono i Cleveland Cavaliers nel primo atto di una serie che, tuttavia, sembra tutt'altro che prossima alla conclusione dopo i primi quarantotto minuti giocati sul parquet della Oracle Arena. Fanno festa Kevin Durant e compagni, travolgenti da inizio secondo quarto fino alla sirena conclusiva: tre quarti di dominio assoluto, in termini di ritmo, energia, intensità difensiva e, soprattutto, quadratura e compattezza.
Ciò che emerge tra le pieghe della sfida giocatasi nella baia, tuttavia, non è soltanto la clamorosa prestazione balistica di Curry e del 35, autori rispettivamente di 66 dei punti totali dei ragazzi di coach Mike Brown - Kerr assente ancora per i soliti problemi fisici - ma anche l'impatto dei rispettivi supporting cast, che hanno condizionato e non poco l'esito della gara, facendo spostare l'ago della bilancia in favore dei padroni di casa e non di poco: 47-24 il parziale a referto dei comprimari, aspetto però di riflesso rispetto alla presenza, fisica e mentale, che i vari Green, Thompson, ma soprattutto Iguodala, Livingston e McGee hanno dato nelle due metà campo. Se al fuoco dei soliti Curry e Durant i Cavaliers sono riusciti, seppur a fatica e con scarsissima lucidità a ribattere con le iniziative solitarie di James, Irving e Love, ciò che è mancato alla franchigia dell'Ohio è l'apporto del contorno.
L'apporto di Jr Smith si è limitato al solo primo quarto, nel quale ha piazzato il canestro di apertura delle Finals, da tre, prima di opporre una decente resistenza difensiva, di fisico ed energia più che di qualità pura, su Stephen Curry e di spegnersi con il passare dei minuti senza più tornare in partita. Stesso dicasi per Tristan Thompson, il cui contributo è stato limitato complici le scelte tattiche da Tyronn Lue che ne hanno condizionato il minutaggio: il quintetto estremamente piccolo voluto da Brown, con Durant da quattro e Green da cinque ha costretto il tecnico di Cleveland ad adeguarsi, senza far prendere ritmo ed incisività al lungo che tanto aveva spostato in aiuto nelle serie precedenti.
Chi sono stati chiamati in corso d'opera ad alternarsi all'istrionica guardia ex Knicks e a dare minuti di riposo a Kyrie Irving senza farli rimpiangere sono Kyle Korver e Deron Williams, vergini o quasi a palcoscenici di questa importanza e di questa pressione. Nulla, forse persino dannosa, la presenza in campo degli ex Hawks e Mavericks, che mai sono riusciti ad entrare in partita, soprattutto il tiratore californiano: buoni i tiri che James ha costruito per lui, incapace tuttavia di metterli a bersaglio nel momento di maggiore pressione da parte dei Warriors sul Prescelto. Lo scarso entusiasmo e le pessime scelte prese in attacco hanno di conseguenza minato la solidità mentale e difensiva dei protagonisti, quasi sempre battuti e travolti dalla vertiginosa circolazione di palla, perfetta quanto efficace, dei Warriors. Non pervenuti, se non nel finale, Shumpert e Jefferson, dai quali Lue si attendeva un impatto decisamente migliore. Anche i veterani sono apparsi frastornati e confusionari nel momento cruciale, agli albori del secondo quarto, quando la sfida tra le second unit ha dato il là al parziale che ha trascinato i Warriors verso la doppia cifra di vantaggio.
In vista del secondo appuntamento che si giocherà nella notte tra domenica e lunedì, sempre nello stesso scenario, Lue dovrà necessariamente lavorare su questo aspetto, oltre a dare una maggiore serenità generale al gruppo se vuole impensierire lo strapotere di Golden State visto nella notte appena trascorsa. Un passaggio fisiologico, una reazione mentale, prima ancora che fisica, indispensabile per contrapporre una valida alternativa alle solite scorribande ed invenzioni del duo Irving-James. Qui, probabilmente, si deciderà gran parte della serie, con la panchina dei Cavaliers chiamata inevitabilmente a rispondere presente il prima possibile.