Senza Tony Parker, senza Kawhi Leonard, i San Antonio Spurs producono una delle più incredibili performances degli ultimi anni di playoffs NBA, spadroneggiando in gara-6 sul parquet del Toyota Center di Houston, contro i Rockets di Mike D'Antoni. Un'elimination game senza storia, tutta a favore dei neroargento di Gregg Popovich, compattatisi intorno al loro allenatore nel momento di massima difficoltà. Una gara-6 che si è rivelata l'appendice dell'overtime della partita precedente, con gli Spurs galvanizzati dal successo rocambolesco firmato Ginobili e Green, e i Rockets ancora sotto choc, con un James Harden assolutamente irriconoscibile, quasi in campo per onor di firma.

I San Antonio Spurs in gara-6 contro gli Houston Rockets. Fonte: Espn

E dire che la serie del derby texano era iniziata con un blowout a favore di Houston, capace di trivellare il canestro dell'AT&T Center a suon di triple, nell'esaltazione del concetto di small ball. Poi la reazione degli Spurs in gara-2, guidati da un Tony Parker finito però subito k.o. (infortunio al ginocchio), l'esecuzione di gara-3, la nuova sparatoria di gara-4, il thriller di gara-5, fino al tracollo Rockets di stanotte. In mezzo, gli aggiustamenti di Gregg Popovich, capace di vincere per la quinta volta su cinque una serie contro Mike D'Antoni, mettendo a nudo i limiti degli avversari ed esaltando i propri punti di forza. Vittoria da Spurs, unselfish, con in campo in gara-6 una banda di improbabili protagonisti. Dal vituperato LaMarcus Aldridge al semicarneade Jonathon Simmons, dal playmaker di riserva Patty Mills al rookie Dejounte Murray, passando per Slow-Mo Kyle Anderson, per l'immarcescibile Manu Ginobili, fino ad arrivare a Danny Green, David Lee e Pau Gasol. Popovich ha confermato il suo quintetto con i due lunghi, insistendo con l'attaccare sotto canestro, trovando finalmente grandi risposte da Aldridge: ma se le twin towers hanno fatto il loro dovere nella metà campo offensiva, è in difesa che San Antonio ha vinto partita e serie. Closeout eccezionali, single coverages al limite della perfezione, stoppate in aiuto (super Danny Green), cambi accettati (quasi senza battere ciglio), tutti elementi che hanno mandato al tappeto una Houston ancora rintronata dopo il supplementare di gara-5. Mai un guizzo, un gesto di ribellione da parte di James Harden, leader tecnico di una squadra scioltasi sul più bello dopo una stagione per lunghi tratti sorprendente. Un finale inglorioso per i Rockets, talmente brutto da lasciare il sospetto che si sia rotto qualcosa in quello spogliatoio, proprio dopo gli ultimi minuti della pivotal game-5.

Jonathon Simmons. Fonte:  Troy Taormina-USA TODAY Sports

Dall'altra parte ecco invece le infinite risorse di Popovich e degli Spurs. No Parker? No problem. No Leonard? No problem. "Next man up", si dice nel gergo NBA, e a San Antonio sanno come esemplificare il concetto. "Seguiamo la leadership di Pop e Manu", aveva detto Danny Green dopo essere diventato l'eroe di gara-5. Parole profetiche e perfettamente aderenti alla realtà. I neroargento hanno eseguito senza sbavature il loro piano partita, attaccato gli esterni con i loro lunghi, impegnato la difesa di Houston per quasi tutti i ventiquattro secondi dell'azione, cavalcato l'energia positiva di Jonathon Simmons, sfruttato la verve di un Dejounte Murray scelto alla numero ventinove dello scorso Draft, gestito i ritmi a proprio piacimento con Mills e Ginobili. Il tutto senza fare una piega, in pieno stile Spurs, mentre gli avversari colavano a picco, tra contraddizioni interne e incapacità di far fronte agli imprevisti. Già, perchè è questa la differenza tra San Antonio e il resto della Lega: gli Spurs fanno di necessità virtù, gli altri hanno bisogno di girare a mille per provare a vincere. Ora alla banda Popovich tocca in sorte una Golden State reduce da otto vittorie su altrettante partite disputate nei playoffs, e che ha dalla sua anche il vantaggio del fattore campo. Con un Leonard non al 100%, le possibilità di approdare alle Finals sembrano remote. Almeno fino al prossimo capolavoro di Gregg Popovich e dei suoi neroargento, da vent'anni sulla cresta dell'onda. Sempre protagonisti, con interpreti e sistemi diversi, attraversando sottotraccia tre diverse decadi del mondo NBA.