In sede di presentazione della serie di secondo turno di playoff della Western Conference tra San Antonio e Houston, più di un addetto ai lavori si è “sbilanciato” dando i Rockets vincenti, magari in sei partite o giù di lì, non ultimo il noto analista di ESPN Zach Lowe. Intanto, in gara-1 i ragazzi di Mike D’Antoni hanno subito sbancato l’AT&T Center con una prestazione balistica impressionante (22/50 da tre punti), andando al doppio della velocità rispetto agli Spurs, che dopo meno di tre quarti sono stati costretti ad alzare bandiera bianca.

Parker, Leonard, Green e Aldridge. Fonte: NBAPassion

I problemi di San Antonio sono già stati analizzati in altra sede, ma ciò che salta all’occhio non sono solamente le difficoltà della squadra di Popovich contro Houston, ma anche le analogie con un’altra serie di playoff che vide coinvolti gli Spurs, ovvero quella del 2010 contro i Phoenix Suns, sempre a livello di semifinale di Conference. In quell’occasione Nash e compagni travolsero San Antonio con un clamoroso sweep. Quelle quattro partite – sebbene tre furono molto combattute - fecero emergere molti dei problemi di San Antonio, al punto che, ancor prima che la serie finisse, alcuni ipotizzarono un ritiro di Tim Duncan, avvenuto solamente sei anni più tardi.

LE ANALOGIE

Quella Phoenix era allenata da Alvin Gentry, attuale coach dei Pelicans e prima ancora assistente di Mike D’Antoni, creatore di quegli spettacolari Suns e che ora è al comando proprio degli Houston Rockets. Facendo un paragone, si può notare come quei Suns corressero molto più dei loro avversari, proprio come accaduto stanotte. A dimostrazione di questo, il pace di Phoenix nella regular season 2009/2010 fu di 95.7 possessi: oggi sarebbe il quartultimo della Lega, all’epoca era il quinto, mentre quello di Houston di quest’anno è stato il terzo della Lega con 102.5 possessi, a dimostrazione di quanto si sia evoluto il Gioco in soli sette anni. Nel 2010 San Antonio in questo senso fu il ventesimo team della NBA con un pace pari a 92, mentre quest’anno solamente tre squadre hanno fatto peggio (96.4). Ancora, nel 2009/2010 i Suns chiusero la regular season al primo posto per efficienza offensiva con 110.9 punti segnati su 100 possessi, con i Rockets che quest’anno sono stati inferiori solamente a Golden State, arrivando comunque a 111.8.

Steve Nash e Tony Parker. Fonte: Zimbio.com

Se il condottiero di quella Phoenix era Steve Nash, lo stesso si può dire di James Harden per questi Rockets. The Beard da questo autunno è stato “trasformato” in point guard da D’Antoni, conducendo i propri compagni, creando moltissimo con il pick and roll centrale con Capela o Nené (così come Nash riusciva a fare soprattutto con Stoudemire) e riuscendo ad innescare moltissimi tiratori pronti a ricevere dai 7,25 m (Richardson, Frye, Dragic, Dudley e Barbosa da un lato, Gordon, Williams, Ariza, Anderson, ma anche Beverley dall'altro). Come ieri con Harden e Anderson, i pick and pop che videro coinvolti Nash e Frye fecero a pezzi San Antonio, incapace di contenere il playmaker canadese, in grado sia di arrivare al ferro con irrisoria facilità punendo i cambi difensivi, con i lunghi incapaci di tenerlo lontano dal ferro o di creargli qualsiasi altro grattacapo (leggasi Harden). Analogamente, ambo le franchigie si sono ritrovate tra le mani un veterano fondamentale in moltissime situazioni di gioco e su entrambe le metà campo: Grant Hill da una parte, Trevor Ariza dall’altra (che ieri notte è stato il migliore con 23 punti, 5/10 da tre e 73% di True Shooting). Tra le altre cose, è interessante notare come Houston abbia avuto ben otto giocatori capaci di tirare con almeno il 40% da tre punti (e tra questi non c’è Harden), mentre Phoenix riuscì ad averne sei nell’arco di quattro partite, tirando complessivamente con il 46,1% da tre (ieri Houston si è “fermata” al 44%). I numeri sono perfettamente uguali se si considerano gli uomini in grado di avere almeno il 50% di percentuale reale dal campo, che è la statistica che dà un peso maggiore ai tiri da tre punti rispetto a quelli da due.

Steve Nash contro gli Spurs. Fonte: Archive.azcentral.com

Inoltre entrambe le difese hanno/avevano la tendenza a “scommettere” molto sulle percentuali al tiro di alcuni avversari, rischiando di subire valanghe di punti (in quella stagione i Suns furono la 21esima squadra dellla Association per efficienza difensiva, pari a 109.8, mentre Houston ha chiuso al 17esimo con 106.4), ma riuscendo a raddoppiare i giocatori ritenuti più pericolosi, cosa che invece è risultata perniciosa per San Antonio, incapace di gestire Nash/Harden e la loro abilità nel giocare non seguendo schemi predefiniti, ma reagendo alle scelte della difesa. In attacco, invece, gli speroni sono risultati lenti, imprecisi (13.1% di turnover ogni 100 possessi, all’epoca si fermarono al 12.1%) con poche idee, spaziature non buone, con la circolazione di palla del 2014 che sembra un ricordo sempre più sbiadito.

LE DIFFERENZE

Chiaramente ci sono delle differenze tra le quattro squadre analizzate, specialmente per quanto riguarda gli Spurs, visto che questi avevano Duncan, Ginobili e Parker perfettamente integri – peraltro l’incapacità di TP di creare un vantaggio dal pick and roll o di entrare in area con facilità rappresenta un problema enorme per San Antonio. C’era poi un giovane George Hill, Richard Jefferson e una seconda linea di sicuro affidamento come Matt Bonner. Oggi, invece, c’è Kawhi Leonard, forse il miglior two way player del mondo, ma lasciato troppo solo in gara-1 e limitato a un brutto 5/14 al tiro; ci sono anche Parker e Ginobili con sette anni in più, un LaMarcus Aldridge in enorme difficoltà già nella serie contro Memphis (36/82 dal campo per lui in questa post-season) e una panchina che, Mllls a parte, ha dato ben poco a Popovich, che forse potrebbe puntare di più su Dedmon (con lui in campo 101 di defensive rating), rim protector fondamentale per riaprire una serie che, è bene ricordarlo, è appena iniziata.